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Putin rompe con Erdogan: rischio guerra

Il voltafaccia del Sultano. Schiera i blindati per difendere i ribelli

Putin rompe con Erdogan: rischio guerra

Quando si tratta di giocar a rimpiattino Recep Tayyp Erdogan resta un maestro indiscusso. Nel 2015 mentre i suoi servizi segreti appoggiavano l'Isis e le sue guardie di frontiere indicavano la strada ai migranti diretti in Europa, non esitò ad abbattere un aereo russo sui cieli della Siria per conquistarsi l'appoggio della Nato. Nel 2016 quando le spietate politiche repressive adottate dopo il fallito golpe spinsero Europa e Stati Uniti ad isolarlo, si affrettò a stringere un asse di ferro con Vladimir Putin. Ora anche quello è in forse. Ma a rimettere tutto in discussione è anche il Cremlino. Stufa dei voltafaccia di Erdogan Mosca ha spinto l'esercito di Damasco alla riconquista del cruciale centro di Saraqib, rimasto dal 2012 fino ad ieri sotto il controllo di Tahrir Al Sham, la costola siriana di Al Qaida. Situata all'incrocio tra la M4 e l'M5, i due assi autostradali che attraversano la Siria in direzione est-ovest e nord-sud, Saraqib è fondamentale per la riconquista di quel quadrante nord occidentale della provincia Idlib ancora in mano ad Al Qaida e altri gruppi jihadisti

Bashar Assad e Vladimir Putin devono, però far i conti con Erdogan. Dopo i pesanti scontri tra l'esercito siriano e quello di Ankara costati la vita, giorni fa, a sette turchi e a una settantina di militari siriani, Erdogan minaccia di entrare con i suoi carri armati in territorio siriano se Assad non si ritirerà, entro fine mese, da Saraqib e dagli altri territori riconquistati. «Il regime avanza mettendo in fuga gente innocente e spingendola verso il nostro confine - ma non gli consentiremo di farlo perché questo aumenterebbe il peso che stiamo sostenendo» ripete Erdogan alludendo alle masse di sfollati ammassati alla frontiera turca. In verità il Sultano ha poco da recriminare. In base a quanto concordato con Putin a Sochi, due anni fa, l'esercito turco doveva entrare in Siria per sequestrare le armi pesanti dei 50mila miliziani jihadisti asserragliati a Idlib, separare quelli più disponibili a un accordo dagli irriducibili di Tahrir al Sham e imporre, infine, la resa dei qaidisti. In verità i gruppi più vicini ad Ankara sono stati trasformati in milizie mercenarie mandate prima a combattere i curdi nel nord-est della Siria e poi in Libia per dar man forte al governo di Tripoli. Tahrir Al Sham è, invece, rimasta egemone e si è addirittura allargata assimilando i ribelli poco disposti a combattere per Erdogan.

Ma a preoccupare più di tutto Putin è il timore che il Sultano punti a mantenere il controllo delle zone di Idlib adiacenti al confine trasformando i «posti di osservazione» gestiti dal suo esercito in una zona cuscinetto capace di bloccare l'avanzata dei governativi e garantire la presenza di Tahrir Al Sham. Un sospetto confermato dal progetto per la costruzione di un migliaio di alloggi in cui trasferire tre milioni e mezzo di sfollati siriani ancora in Turchia. Un progetto a cui la Germania, ricattata con la minaccia dei migranti, contribuirà con 25 milioni di euro nonostante riguardi alloggi edificati su un territorio a tutti gli effetti siriano. Tutto questo moltiplica i sospetti di un Putin preoccupato che le mosse di Erdogan rallentino non solo la cacciata dei ribelli, ma anche quel processo di riunificazione e riconciliazione nazionale indispensabile per rivendicare una vera pacificazione del Paese.

E ad incrementare le ansie russe si aggiunge il timore che un campione del rimpiattino come Erdogan sfrutti la situazione per riavvicinarsi agli Stati Uniti regalando a Washington l'opportunità di rientrare nel grande gioco siriano e ostacolare i piani di Mosca. Un timore rinfocolato dalle dichiarazioni del segretario di Stato Mike Pompeo che negli ultimi giorni ha più volte condannato le azioni «prive di scrupoli» del «regime di Assad» e criticato una Russia colpevole, assieme a Iran ed Hezbollah, di impedire «un cessate il fuoco».

Il Sultano, accusato fino a poco tempo fa d'esser la quinta colonna di Putin nella Nato, è pronto insomma all'ennesima capriola che lo trasformerà nel nuovo «figliol prodigo» indispensabile per arginare i piani mediorientali del Cremlino.

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