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Ma quale «piano B»: ci siamo rovinati da soli con accordi e trattati

In più di mezzo secolo abbiamo firmato di tutto, da convenzioni capestro a direttive beffa. Uscirne è dura ma si può Cominciando a impugnare ogni intesa

Ma quale «piano B»: ci siamo rovinati da soli con accordi e trattati

Allo scopo di evitare facili ironie o soverchie speranze sul «piano B» di Matteo Renzi per far fronte ai problemi sorti con l'immigrazione clandestina di massa è opportuno esaminare il recinto legislativo e di diritto internazionale nel quale ci siamo progressivamente e volontariamente ingabbiati, e con il quale ora tocca fare i conti.

Articolo 10 comma 3 della Costituzione. «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Al pari della Convenzione di Ginevra che vedremo appresso, quell'articolo faceva necessariamente riferimento agli allora casi sporadici di richiesta d'asilo politico. Intellettuali, docenti universitari, scrittori, musicisti o anche sportivi, come è capitato, che riuscendo a sfuggire alla sorveglianza cui erano sottoposti dal regime del Paese d'origine riuscivano ad accedere a una ambasciata o, se occasionalmente all'estero, a una autorità di polizia alla quale chiedere, appunto, asilo. Nessuno poteva immaginare che i richiedenti asilo potessero trasformarsi in massa e la massa in flusso migratorio continuo (ma anche così l'obbligo costituzionale resta).

Convenzione di Ginevra. Accordo di diritto internazionale umanitario firmato nel 1951. Con il quale viene precisata la figura del richiedente asilo, denominato «rifugiato»: «Colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra». La Convenzione poté non comprendere fra gli aventi diritto alla tutela quanti fuggivano una guerra (comunemente chiamati sfollati) o che da una guerra avevano subito danni perché all'uopo era già operante una Agenzia dell'Onu: l'Unwra. Che si occupava a tempo pieno degli unici rifugiati «di guerra» presi in considerazione: i Palestinesi.

Alto Commissariato per i rifugiati (Unhcr). Agenzia delle Nazioni Unite che ha adottato alla lettera la definizione di rifugiato riportata nella Convenzione di Ginevra. Ciò che le consente di non intervenire - con i suoi cospicui mezzi e i suoi 27mila dipendenti - nella questione dei «migranti» che ci riguarda direttamente.

Convenzione di Dublino. Sottoscritta, inizialmente da dodici membri dell'Ue (fra i quali l'Italia), nel 1990. La Convenzione dispone che lo Stato membro competente a esaminare una domanda di asilo o il riconoscimento dello status di rifugiato è «lo Stato in cui il richiedente asilo ha fatto il proprio ingresso nell'Ue». Ciò che obbliga questo Stato a non impedire gli ingressi, ad accogliere chiunque bussi alla sua porta offrendogli assistenza per tutto il tempo necessario - mesi, ma anche anni, dipende dalla regione di provenienza - all'esame di ogni singolo caso. Detto Stato ha anche l'obbligo di registrare i richiedenti prendendo loro le impronte digitali. Pratica che come vedremo non verrà sempre seguita. Essendo l'Italia la porta di ingresso del flusso migrante preminente, quello dal Nord Africa, è lecito chiedersi dove avevano la testa Giulio Andreotti e Gianni De Michelis, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri del governo che firmò la Convenzione di Dublino.

Direttiva europea 2004/83/CE. Strumento con il quale l'Europa allargò i confini giuridici della Convenzione di Ginevra e di Dublino estendendo lo status di rifugiato anche a chi «non possiede le caratteristiche che determinano la discriminazione». È sufficiente che nel Paese di origine la si pratichi contro altri. E non fa differenza «che il richiedente provenga da un Paese in cui numerosi individui, o addirittura l'intera popolazione, debbano far fronte a un rischio di oppressione generalizzata». In più, sotto la voce «protezione sussidiaria» accomuna lo sfollato al rifugiato indicando a giusta causa di richiesta di protezione internazionale «la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

Articolo 14 del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 25 (governo Prodi). È quello che accoglie nella legislazioni italiana la precedente direttiva europea sulla «protezione sussidiaria» e che ci obbliga ad accogliere - e a mantenere vita natural durante se scegliessero di restare el Belpaese - gli sfollati. È il caso degli eritrei, dei somali, dei libici e dei siriani. Per ora.

Impronte digitali. Una volta prese (e obbligatoriamente inviate alla banca dati europea, l'Eurodac), il soggetto che provasse a uscire dall'Italia per raggiungere altra nazione europea verrebbe respinto alla frontiera. Perché, come da Convenzione di Dublino, in carico all'Italia fino al termine dell'istruttoria che determini se il soggetto medesimo ha lo status di rifugiato o è semplice immigrato clandestino e quindi destinato all'espulsione. Se le impronte vengono omesse, ove riuscisse a passare la frontiera guadagnerebbe il diritto d'essere preso in carico dallo Stato dove riesce a metter piede. Per favorire la spartizione (che in teoria dovrebbe essere regolate dalle quote), in sostanza per tentar di disfarcene, sottoponiamo a registrazione dattiloscopica meno della metà degli sbarcati. Lasciando in circolazione centinaia di migliaia di incontrollati: gli «invisibili», come vengono chiamati.

Trattato bilaterale di Chambery. In forza del quale la Francia ha respinto alla frontiera di Ventimiglia un gruppo di clandestini non registrati (ai quali non furono prese le impronte digitali). Lo firmarono nel 1997 Romano Prodi e Giorgio Napolitano da un lato, dall'altro Jacques Chirac e Lionel Jospin e dispone la «riammissione - in pratica il respingimento - nel territorio dell'altro Paese di persone rintracciate sul proprio territorio in posizione irregolare». Dei clandestini, insomma.

Per concludere, in buona o cattiva fede che sia in tutto questo tempo non abbiamo fatto altro che metterci volontariamente nei guai.

Uscirne ora, con piani B o C, sarà una impresa senza speranza (a meno di non ricorrere ai « boot on the ground » o di impugnare tutti i trattati e le convenzioni, chiamare il ministero della Difesa a difendere le nostre coste e affidare la conta degli aventi diritto all'asilo all'Unhcr che è lì per questo e ha per giunta il casco blu.

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