Ci avevano rassicurato. Il ministro dell'Interno e quello degli esteri ci avevano spiegato e rispiegato che dai barconi scendevano solo i disperati. I terroristi, avevano puntualizzato mettendo i puntini sulla i, sono un'altra cosa. E scelgono altre rotte. Ora Angelino Alfano e Paolo Gentiloni dovranno rivedere le loro analisi e soprattutto dovranno modificare le loro strategie. L'arresto di Milano, pure da non accettare a scatola chiusa e anzi da verificare con scrupolo, mette in crisi i dogmi facili della sinistra italiana. Eppure per settimane è stato un carosello di dichiarazioni accomodanti, quasi l'allarme fosse frutto dell'isteria e della strumentalizzazione per fini elettorali. Alfano, ancora pochi giorni fa, aveva cercato di disinnescare l'inquietudine: «Fin qui non abbiamo traccia di presenze di terroristi sui barconi». Poi altrettanto candidamente aveva aggiunto l'ovvio con tutta la retorica del caso: «Questo non significa che abbiamo abbassato la tensione e l'attenzione che rimangono altissime». Ad alimentare i dubbi era stato un consigliere del governo libico, Abdul Basit Haroun, che conversando con la Bbc aveva detto che fra i migranti si nasconderebbero miliziani dell'Isis. Lui aveva buttato acqua sul fuoco. Come sempre.
In realtà già nei mesi scorsi i poliziotti sulla prima linea degli sbarchi, fra Sicilia e Calabria, avevano denunciato il rischio di infiltrazione di jihadisti mischiati ai clandestini. E almeno in un caso, come documentato dal Giornale , il sospetto era diventato una certezza o quasi quando sul cellulare di un clandestino erano state trovate foto di armi. Il seguito però era stato se possibile ancora più sconcertante: lui si era giustificato autocertificandosi come militante di una delle tante fazioni palestinesi, poi era sparito nel nulla. Come migliaia di profughi.
Così, la linea ufficiale del non vedo è andata avanti per mesi. Ha resistito a tutto e a tutti, anche alle migliaia e migliaia di mancate identificazioni di chi sbarca, bloccando sul nascere uno studio serio e approfondito del fenomeno. Paolo Gentiloni, in un'intervista al Mattino , era stato ancora più netto del collega: «I terroristi non arrivano con quei barconi che rischiano il naufragio lungo le nostre coste». E ancora: «Una generica confusione con il fenomeno dell'immigrazione non ha senso ed è anche strumentale».
Forse le cose stavano diversamente. Gli agenti, quelli impegnati con cadenza quotidiana nell'arginare l'ondata di arrivi, ripetevano quotidianamente: «Non sappiamo nulla o quasi nulla di tante persone che scendono dai barconi. Potrebbero essere terroristi, criminali o disperati». Insomma, i controlli all'italiana e una certa approssimazione hanno permesso alle nostre autorità di ripetere le stesse parole tranquillizzanti per lungo tempo. Il premier Matteo Renzi in un editoriale pubblicato dal New York Times era stato assai più prudente e realista dei suoi ministri: «Non tutti i passeggeri sui barconi sono famiglie innocenti». E la titolare della Difesa Roberta Pinotti si era barcamenata: «Non abbiamo avvisi su eventuali infiltrazioni di terroristi fra i migranti in arrivo sui barconi, ma la cosa non si può escludere, sui grandi numeri è un'evenienza possibile». Eccezioni. Il coro dei senza se e senza ma aveva ricominciato a predicare contro le presunte provocazioni e i presunti pregiudizi. Gianni Pittella, capogruppo dei Socialdemocratici al parlamento europeo, aveva concluso la sua visita a Varsavia all'agenzia Frontex con una frase definitiva: «Durante una riunione con il direttore di Frontex - l'organismo della Ue che si occupa dei clandestini, n.d.r.
- è stata sottolineata l'assoluta mancanza di prove sulla presenza di terroristi fra i migranti». E il vicepresidente del Copasir Giuseppe Esposito, di Area popolare, aveva liquidato il tema con una battuta a effetto: «L'Isis sui barconi? Salvinate per raccattare voti».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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