Quando i giudici rivoluzionano le nostre famiglie

Da Torino a Grosseto, da Milano a Roma: sono i giudici, ormai da anni, a cambiare la via italiana ai "diritti di genere", modo forbito per indicare le due aspirazioni principali delle coppie omosessuali: matrimonio e adozioni

Quando i giudici rivoluzionano le nostre famiglie

Da Torino a Grosseto, da Milano a Roma: sono i giudici, ormai da anni, a cambiare la via italiana ai «diritti di genere», modo forbito per indicare le due aspirazioni principali delle coppie omosessuali: matrimonio e adozione. Nonostante nel 2010 la Corte Costituzionale avesse provato a spiegare ai giudici di tutta Italia che le ambizioni gay, per quanto comprensibili e condivisibili, potevano essere accolte solo dal Parlamento e da una nuova legge, dai tribunali sono continuate ad arrivare sentenze «innovative», che hanno alzato l'asticella delle libertà e dei diritti. A volte sottilmente, a volte entrando in rotta di collisione con un quadro normativo tuttora in vigore: e incrociando il tema dei diritti dei gay con un altro, altrettanto delicato: quello della procreazione assistita.

L'elenco è lungo: a partire dalle due sentenze forse più clamorose, entrambe del 2014. La prima, a Grosseto, ordina di trascrivere un matrimonio gay registrato all'estero, sostenendo che «né a livello di legislazione interna né nelle norme di diritto internazionale privato, un riferimento alla diversità di sesso quale condizione necessaria per contrarre matrimonio»; la seconda , a Roma, ha riconosciuto l'adozione di una bambina da parte di una coppia di donne, una delle quali inseminata all'estero. Per i giudici romani, negando l'adozione si sarebbe data retta al sentimento di una società retriva, «esclusivamente fondato, questo sì, su pregiudizi e condizionamenti cui questo Tribunale, quale organo superiore di tutela dell'interesse superiore del benessere psico-fisico dei bambini, non può e non deve aderire».

A dire il vero, nel 2010 la Corte Costituzionale aveva provato a frenare le fughe in avanti dei giudici, scrivendo che nessuna norma «impone la piena equiparazione alle unioni omosessuali delle regole previste per le unioni matrimoniali tra uomo e donna», e che semmai deve essere il Parlamento a cambiare la legge. Ma le interpretazioni progressiste sono continuate. A Milano un mese fa la Corte d'appello, ribaltando una sentenza del tribunale, ha ordinato la trascrizione nei registri italiani dello stato civile del matrimonio contratto nel 2011 in Argentina tra un italiano e il suo compagno transessuale argentino, che nel 2012 ha ottenuto nel suo Paese il cambio di sesso e di nome senza però sottoporsi a interventi chirurgici. Il matrimonio «è perfettamente conforme al paradigma eterosessuale» e valido per l'ordinamento italiano», scrivono i giudici. A Torino, pochi mesi prima, la Corte d'appello aveva segnato un'altra pietra miliare, ordinando di trascrivere come figlio di due mamme un bambino nato da inseminazione in Spagna.

Quasi sempre, a fare da sponda alle sentenze dei magistrati sono le normative dei paesi del «turismo riproduttivo», spesso assai più liberali delle nostre.

Una coppia etero incriminata a Milano per avere spacciato come proprio un figlio nato da un utero affittato a Kiev si è vista assolvere perché la legge Ucraina lo consente, ma anche sulla base del principio che la «genitorialità non è solo quella biologica». Principi con un loro pregio: ma che in questo marasma, in assenza di una legge, valgono solo per i cittadini che hanno i soldi per viaggiare e per rivolgersi a un avvocato.

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