Coronavirus

"Quante bugie sul virus", l'indagine inchioda la Cina

Un'inchiesta dell'agenzia Ap: da Pechino non ci fu risposta ai solleciti da parte dell'Oms

"Quante bugie sul virus", l'indagine inchioda la Cina

A distanza di cinque mesi emergono prepotenti le verità. E sono tutte contro la Cina. E si svelano anche i fragili, complicati equilibrismi diplomatici dell'Organizzazione mondiale della sanità verso Pechino. Il virus che ha costretto il mondo a bloccarsi poteva essere fermato prima e ora si vogliono conoscere le responsabilità dell'Oms, accusata d Donald Trump, di essere «una marionetta nelle mani della Cina», di aver aiutato i Paese a insabbiare. L'Oms aveva gli strumenti per fare di più? Un'inchiesta della Ap su documenti top-secret dell'Oms relativi al Covid-19 e su registrazioni di incontri riservati dei suoi dirigenti, sembra scagionare Tedros Adhanom Ghebreyesus, l'ex-ministro della sanità dell'Etiopia diventato direttore generale dell'Organizzazione.

Non c'è dubbio - ed è questa la prima conclusione dell'indagine sull'Oms - che Pechino abbia agito in cattiva fede: non solo per i ritardi nel comunicare l'evoluzione della epidemia, ma soprattutto per la questione del genoma, cioè della mappa genetica del virus. Un comportamento oltremodo scorretto - difficile a questo punto continuare a difendere l'operato di chi il governo italiano e in particolar modo di Maio ha sempre difeso- che ostacolò il lavoro dei funzionari dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nella prima fase dopo la scoperta di casi di polmoniti anomale a Wuhan. La Cina, dunque, avrebbe ritardato la comunicazione dei dati sul coronavirus e in alcuni casi li avrebbe nascosti provocando «grande frustrazione» tra i ranghi dell'Oms, che se in pubblico elogiava la trasparenza del Paese, di fatto chiedeva maggiore collaborazione. La Cina avrebbe ritardato la diffusione delle informazioni sia sul genoma del virus sia sui primi pazienti, rendendo difficile determinare la velocità di trasmissione del coronavirus. Le lodi ricevute dall'Oms sarebbero state soprattutto un invito a Pechino a rilasciare maggiori informazioni, secondo Associated Press, mentre in privato i funzionari dell'agenzia delle Nazioni Unite si sarebbero più volte lamentati per i ritardi della Cina. E il mondo intanto si contagiava e l'America si infuriava tagliando, per mano di Trump, 450 milioni di dollari proprio nel mezzo della pandemia.

A complicare ci sono le relazioni internazionali. Il presidente cinese Xi Jinping, pur avendo imposto Tedros nel 2017 al vertice dell'organizzazione ginevrina, e a dispetto dei suoi continui solleciti, ha fornito in ritardo il genoma e altre informazioni sul Covid 19. C'è la questione di Taiwan che per prima aveva lanciato l'allarme purtroppo inascoltato, avvisando l'Onu e l'Oms già a dicembre. Ci sono i documenti che lo provano, ma dalle organizzazioni internazionali c'è un silenzio tombale. «Una strumentalizzazione politica della pandemia per rientrare nell'Organizzazione», era stata l'accusa del presidente cinese contro Taipei. E invece sappiamo purtroppo come è andata a finire.

Stretta tra due fuochi, l'Oms ha preferito finora non occuparsi delle polemiche. Ma le nuove informazioni sembrano indebolire le posizioni di Washington e Pechino. E così Anthony Fauci, l'immunologo della task force della Casa Bianca sul Covid ha già fatto un passo indietro, «l'Oms non è un'istituzione perfetta, ma il mondo ne ha bisogno». Poi ci sono i fatti: la presenza del coronavirus a Wuhan fu mappata una prima volta il 27 dicembre 2019 da un centro privato cinese. Ma niente trapelò: il 5 gennaio l'Oms dichiarò che non c'erano rischi di una trasmissione uomo-uomo e quindi di misure restrittive per i viaggiatori. Invece il virus si stava propagando a grande velocità.

Tedros forse non sapeva ma sicuramente sospettava.

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