Dalla analisi costi benefici sulla Tav condotta dal professor Ponti e di tre dei suoi collaboratori risulta che i quattro non hanno nozioni elementari dell'economia. L'errore consiste nel confondere il prodotto interno lordo Pil, che si calcola al lordo delle imposte indirette, e il prodotto interno netto Pin (da non confondersi con i Personal identification number, ovvero Pin di strumenti elettronici). Le imposte indirette sui carburanti che fanno parte del Pil, non sono invece parte del Pin, che si calcola al costo dei fattori, prima delle imposte dirette e dei contributi sociali. Da un lato Ponti e i suoi hanno messo le imposte indirette nei costi della Tav, mentre non fanno parte del Prodotto netto della nazione. A ciò hanno aggiunto un secondo errore, perché hanno calcolato il costo del lavoro al netto delle imposte dirette, mentre esso entra nel prodotto nazionale, lordo di imposte dirette e contributi sociali. Con il primo errore hanno sopravalutato i costi della Tav, con il secondo hanno sottovalutato il costo del trasporto via Tir.
Ed ecco il terzo errore. L'analisi benefici non è una mera «tecnica», perché include giudizi di valore etico-politico sulla giustizia fra generazioni. Il tasso di sconto al presente dei benefici dei cittadini futuri include un giudizio etico-politico diverso in una società di risparmiatori, come quella dei nostri nonni, o di spendaccioni. L'Italia ha un debito del 130% del Pil che grava sul futuro. Mi sembra che il tasso di sconto temporale non possa essere il 2,5% europeo normale, ma solo l'1% al più, che riguarda la produttività di un impiego di risorse in usi alternative. Un altro costo sociale in cui contano i giudizi etici riguarda «beni intangibili» come la vita umana, le invalidità dovute a incidenti stradali e inquinamenti: qui non bastano i calcoli delle assicurazioni.
Un quinto errore di questa analisi è, invece, d'ordine tecnico. Il costo per l'Italia della Torino-Lione, prima di iniziarla, riguarda il tratto italiano per il 60% perché il 40% è a carico dell'Europa. Il traforo costa 3 miliardi, le sue opere di adduzione 1,5; le successive altri 2,5. In totale 7 miliardi, ossia per l'Italia 4,2 circa. Ma l'opera è già iniziata L'analisi tecnica deve comparare il costo del completamento con quello del mancato completamento. In questo ci sono da restituire 630 milioni ricevuti dall'Europa, 450 per metter a norma i cantieri, altri 400 per indennizzi alle imprese italiane. In totale 1,5 miliardi + 2 miliardi da rimborsare a Francia, Spagna e Unione Europea per spese da loro fatte sul versante francese. Inoltre penali a Francia e Spagna, per contratti da sospendere e trafori da chiudere per almeno altri 800 milioni, cioè 2, 8 miliardi. In totale l'Italia dovrebbe sborsare 4,3 miliardi. Vi se ne aggiungono 1,5 per mettere a norma il traforo del Frejus. Inoltre ci sono le penali del Trattato europeo che l'Italia ha firmato per la TAV, che comportano tagli ai fondi regionali e sociali europei.
Il sesto errore di questa analisi è di teoria della crescita economica.
Essa sembra ignorare che mentre le ferrovie ad Alta velocità sono industrie a costi decrescenti, dovuti all'aumento della velocità nel tempo, che riduce i costi fissi del lavoro e del capitale per unità di cosa o persona trasportata le strade ed auto strade sono industrie a costi crescenti, a causa della congestione dello spazio. Ridurre i tempi e i costi fra aree di mercato e unirle con una crescente alta velocità comporta un grande mercato, con economie di scala, più scambi, più concorrenza, più conoscenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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