Cronache

Quei traghetti senza controlli e parità dei sessi pure in mare

Non dare la precedenza ai più deboli fa schifo, ma l'etica è un lusso su una nave che affonda

Una delle scene più disgustose e insieme più ipocritamente pacificanti per la nostra buona coscienza è quella raccontata dal soprano greco Dimitra Theodossiou. Ha detto: «Ho visto uomini picchiare le donne per mettersi in salvo». Erano in tanti ad aver paura di morire sul traghetto in fiamme. L'elicottero sbattuto dal vento calava sul ponte della nave l'imbragatura, e invece di dare la precedenza ai più deboli, i forti hanno cercato di salvare se stessi e gli altri crepino, secondo la legge crudele della natura e dell'evoluzione darwiniana. Ci fanno schifo.

E proviamo un certo conforto nel sentirci migliori: noi no, e parlo da maschio adulto, noi non ci saremmo comportati così. E le donne doppio conforto morale: le madri si sacrificano per i figli e per i loro uomini, i quali invece...

Dopo due, tre giorni si può ragionare. Sono uno (non è vero, ma mi immagino) dei signori che stavano sul ponte del traghetto in fiamme. Una brava persona, in media diciamo. Piuttosto anziana, qualche malanno, ma in forze. Se mi avessero chiesto di riempire un modulo prima della partenza, avrei sottoscritto, e lo farei ancora, una specie di giuramento, una dichiarazione anticipata di volontà: «Dichiaro di essere disposto a rinunciare alla mia vita qualora l'alternativa fosse mettere a rischio la sopravvivenza di persone più deboli e bisognose di cure». Questo fino a un attimo prima.

Invece tra le fiamme, il panico, l'istinto, qualcosa al fondo di me urlava: sàlvati, sàlvati. La vita è una sola. Le regole di buona educazione sono un lusso su una nave in naufragio. Quel bambino non so chi è, quella soprano cosa vuole da me? Non hanno voluto la parità dei sessi? Che si arrangino.

I principi etici alla malora, le mie antiche convinzioni, iniettatemi dall'educazione, al diavolo. Questo mi ha suggerito in quei momenti la voglia di scamparla. Un'altra voce dentro di me parlava un'altra lingua. E diceva: c'è un prezzo che non si deve pagare per sopravvivere, non si devono calpestare i piccoli, i fragili, non siamo nati per vivere come bruti.

Ecco. Adesso la mia immaginazione finisce. Io non so come mi sarei comportato. Nessuno di noi sa cosa farà nel momento della prova. Come si comporterà sottoposto alla tortura delle circostanze. Io spero vivamente, come tutti voi che mi state leggendo, di saper scegliere l'amore per l'altro, anche sconosciuto, ed anzi mi vedo farmi largo tra le bestie vogliose di vita, che sventolano banconote davanti ai marinai delle scialuppe come nel Titanic, prendere a cazzotti i prepotenti e issare sull'elicottero quel bimbo spaurito e sua madre, oppure quel vecchio in carrozzella.

Però io non lo so davvero che cosa avrei fatto. Inutile che oggi ci sentiamo tutti più buoni di quella ciurmaglia di esseri umani urlanti. E allora dovremmo per questo assolverli? Capirli? No, questo no. Ma forse dovremmo attrezzare l'educazione, la cultura, i rapporti quotidiani in modo da rendere più facile la scelta per l'altro invece di quella egoistica, che poi non conviene a nessuno e si risolverà - ammesso che esista la coscienza - in un rimorso permanente.

Propongo di ricavare alcune considerazione da quei fatti spaventosi (e qui non cito il sacrificio dei soccorritori, e la vita perduta dei due marinai albanesi tranciati da un cavo spezzato). Tutte da discutere, ovvio.

1) Alla specie umana non basta sapere che cosa è il bene per farlo. L'Illuminismo, sulla scia di Socrate, ha preteso di identificare la conoscenza con il bene. Se tu conosci il bene, lo fai. Balle. È ovvio che quei signori che picchiavano la gente per salvarsi, al fondo di sé, sapevano che era sbagliato. Non credo sia venuta alla loro mente la teorizzazione del super-uomo per cui vale un'altra morale. L'uomo (e la donna) è un mistero. Scegliamo il male anche quando vorremmo il bene. Goethe direbbe: «Più luce». Mia mamma: «Più bontà».

2) Esiste la libertà! È una scoperta magnifica e tremenda. Noi non siamo identici al nostro proponimento. Possiamo firmare tutte le carte su come vorremmo comportarci dinanzi alle prove supreme. Ma la volontà è attuale. Esiste in quanto applicazione nell'istante della nostra determinazione. Siamo liberi. Questa cosa è bellissima. Un non credente lo direbbe in altro modo, io ripeto le parole di don Giussani: «Dio ama più la nostra libertà della nostra salvezza». Possiamo dannarci. Ma siamo anche liberi di amare. Invano Oriana Fallaci l'ha ripetuto nei suoi favolosi articoli contro il testamento biologico. Disse: «È una buffonata. Perché nessuno può predire come si comporterà dinanzi alla morte. Inutile fare gli eroi ante litteram , annunciare che dinanzi al plotone di esecuzione sputerai addosso ai tuoi carnefici come Fabrizio Quattrocchi».

3) Io credo che in quei momenti di prova suprema (a ciascuno di noi è capitato) appaiano delle immagini dinanzi ai nostri occhi. Ed è quella di nostra madre che di certo avrebbe dato la vita per noi, quella di un amico buono, di un esempio. Per questo è importante l'educazione, che non è l'iniezione di regole con la forza, ma somiglia alle acque materne in cui vivevamo prima di nascere, assorbendo ogni succo donatoci da chi ci voleva bene. L'educazione all'amore è un'esperienza. Ma poi possiamo dire sì o no.

Ps. Osservazione marginale ma non tanto. Perché deve valere la regola: prima i bambini e le donne? I bambini senz'altro. Ma perché le donne, dopo tutte le battaglie per la parità? Perché sono più deboli? Capisco se c'è una madre con il piccino. Ma quel donnone del soprano greco perché dovrebbe avere più diritto di un impiegato del catasto? Inoltre: nessuno parla più dei vecchi. I vecchi sono ormai ritenuti uno scarto, un peso crescente perché non muoiono mai. Io ristabilirei un ordine di salvamento. Prima i bambini, i vecchi e i malati.

Poi si tiri a sorte.

 

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