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La doppia morale del buonista

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A Marsala sono prelevati alle cinque del mattino da un «padrone» che gli assegna i nomi dei giorni della settimana. Dalle baraccopoli o direttamente dai centri di accoglienza, i migranti Giovedì e Venerdì sono trasportati sui campi e pagati 3 euro l'ora per un lavoro estenuante. Chi fa troppe storie sull'orario, 12 ore consecutive sotto al sole, o sulla «mangiaria», un panino piccolo e duro come unico pasto della giornata, viene escluso dalla raccolta di frutta e verdura, unica fonte di sostentamento nelle campagne siciliane.

A Marsala come a Rosarno si coltivano gli agrumi che mangiamo nelle nostre case, mentre gli immigrati, regolari o clandestini, vivono nelle tendopoli o nelle baracche tra i rifiuti, senza luce e acqua potabile. Una situazione che è a conoscenza di tutti ma per cui non si urla allo scandalo, non si mobilitano i politici dell'accoglienza senza se e senza ma, non si fa sentire la moralità di quelli che di fronte al barcone invocano un'umanità per cui i naviganti andrebbero depositati indiscriminatamente sulle rive italiane. L'empatia si attiva nel momento dell'emergenza perché l'emozione diventa così forte da creare stress e turbamento in quelli che osservano la scena. Per ripristinare il proprio benessere psicologico si esige una risposta d'aiuto immediata: se mi trovassi in quella condizione e nessuno mi soccorresse potrei morire in alto mare. All'empatia è seguito un dispiacere egoistico. Il desiderio di aiutare nasce dalla ricerca di un beneficio psicologico per sé e non dalla volontà di ridurre il disagio dell'altro, come avviene nel vero altruismo. Di fronte al migrante sulla carretta del mare vogliamo ridurre la tensione negativa, evitare sentimenti di colpa e vergogna cui andremmo incontro negando l'aiuto richiesto da una persona in difficoltà, sfuggire al giudizio negativo degli altri per ottenere vantaggi sociali come gratitudine, approvazione, stima e rispetto.

Di fronte invece alla sofferenza della vittima a Marsala o a Rosarno abbandoniamo la scena, giriamo la testa altrove quando il telegiornale racconta che il migrante è vessato e sfruttato, la nascondiamo sotto la sabbia per non vedere che dorme sotto la pioggia nel parco cittadino per non provare quel dispiacere egoistico che ci provoca stress.

Di fronte alla zattera in balia delle onde siamo i salvatori ma poi quando l'emarginazione, la disillusione e la nostalgia si trasformano in aggressività o in malattia mentale, invece dell'identificazione subentrano negazione e diffusione di responsabilità: di tutti e quindi di nessuno l'onere di intervenire e sostenere quegli umani emarginati nell'indifferenza di chi prometteva quello che non poteva o non voleva dare.

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