Il Quirinale vota Gentiloni. E Renzi oscura il premier

Il leader Pd vuole Palazzo Chigi e sabota l'attuale inquilino. Minniti: sono pronto alle larghe intese

Il Quirinale vota Gentiloni. E Renzi oscura il premier

L'ipotesi di futuribili «larghe intese» resta al centro della campagna elettorale. Ieri il ministro dell'Interno Marco Minniti si è detto «assolutamente disposto» ad entrare in un ipotetico governo di unità nazionale, «se ci fosse il mio partito».

In ogni caso, ricorda, «la questione sarà nelle mani del capo dello Stato». A cominciare dall'incarico per la premiership, sulla quale lo stesso Minniti, giorni fa, ha mandato un messaggio al suo segretario: «Ho suggerito a Renzi di non andare al governo - ha confidato a Scalfari su Repubblica - Gentiloni deve continuare, come governo di ordinaria amministrazione», anche perchè «questa è l'intenzione del presidente». È risaputo che Mattarella, negli ultimi mesi, abbia tenuto a preservare il governo Gentiloni da scossoni per assicurarsi una continuità a Palazzo Chigi, in vista di un difficile dopo-voto. Ma dietro le parole di Minniti traspare un altolà al segretario del Pd. Che in questi giorni è tornato più volte a ribadire un concetto: l'incarico per formare il prossimo governo deve andare a chi guida «il primo partito o gruppo parlamentare», e in lizza «siamo in due: noi e i Cinque Stelle. Il 5 marzo decide Mattarella, ma è fondamentale che il Pd sia primo partito». Il sottinteso è chiaro: certo, la scelta è nelle mani del capo dello Stato. Ma il Quirinale non potrà ignorare le indicazioni che daranno i partiti. E a dare le carte per il Pd sarà il segretario.

E il 5 marzo - sempre che il Pd riesca effettivamente ad essere il primo gruppo, grazie anche ai piccoli partiti della coalizione - potrebbe dunque aprirsi un conflitto tra chi vuole la «continuità» rappresentata da Gentiloni (gran parte del governo, dei maggiorenti Pd e anche degli esterni, da Prodi a Veltroni, senza contare appunto il Colle, come dice Minniti) e il leader del partito, se decidesse di rivendicare per sé il primo giro di giostra.

I segnali che mettono in allarme i supporter della continuità sono diversi. Ad esempio: Paolo Gentiloni, che continua ad avere il gradimento più alto d'Italia nei sondaggi, è candidato di punta del Pd. A Roma, nelle Marche, in Sicilia. Eppure il Pd nazionale non lo sta usando per nulla nella campagna elettorale. Racconta il dirigente di una regione importante: «Ho chiesto a Palazzo Chigi se il premier sia disponibile a venire a fare un'iniziativa da noi. Mi hanno risposto: certo, siete i primi del Pd a chiedercelo». Ieri Gentiloni era in Sicilia su invito del sindaco di Catania Enzo Bianco, domani sarà a Roma con Carlo Calenda e Francesco Rutelli, sabato a Bologna su invito del prodiano Giulio Santagata di Insieme, che invece non ha voluto invitare Renzi. Il quale finora ha ignorato i «cespugli» della sua coalizione, e ha rifiutato di partecipare sia alla presentazione della lista Bonino che a quella della Lorenzin, entrambe presidiate invece da Gentiloni. Presto il premier farà un'iniziativa con Veltroni. Ma dal Nazareno, finora, non è stata organizzata alcuna manifestazione con lui: curioso.

C'è mistero anche sulla chiusura nazionale della campagna elettorale: in molti hanno suggerito al segretario di organizzare una manifestazione con il meglio

della «squadra» Pd, a cominciare da Gentiloni per continuare con i ministri di maggiore appeal, da Minniti a Calenda, da Delrio a Padoan a Franceschini eccetera. Al momento, però, non è ancora arrivata risposta dal Nazareno.

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