"Radicalismo religioso, sono fermi al Medioevo"

Il sociologo: la soluzione è nella scuola, ma non quella degli imbecilli che tolgono i crocifissi

"Radicalismo religioso, sono fermi al Medioevo"

Marco Lombardi, sociologo dell'Università Cattolica, cosa spinge a uccidere una figlia, una sorella, solo perché vuole sposare un italiano?

«La risposta è quella che diamo parlando di comportamenti radicali. Non è diverso infatti da quello dei terroristi islamisti che fanno attentati in nome di Daesh».

La religione causa l'orrore?

«Parliamo di una religione radicale che nell'interpretazione degli islamisti chiede di lapidare la donna che ha tradito o che è stata violentata. La persona che lascia la religione o si converte perde totalmente i legami familiari. Sì, la risposta si trova nella fortissima identità dell'appartenenza all'islam radicale. Quel padre era musulmano radicale, poi padre».

Per noi è incomprensibile.

«A quella ragazza è stata negata l'identità quando non si è adeguata. C'è poco da fare, siamo di fonte a un'espressione religiosa radicale inconciliabile con la cultura di cui siamo portatori. Sono scontri di cultura».

Bando alle cautele lessicali.

«Io non dico cosa sia meglio o peggio ma un islamista radicale non può vivere da noi o noi da loro. Ciò non vuol dire conflitto ma l'integrazione non è possibile. Troviamo al massimo forme di buon vicinato tollerabile».

Logiche tribali o è l'islam?

«Possiamo partire dalla logica tribale o religiosa ma il mix è un'identità profonda. Il punto è che l'islam non è mai uscito dal Medio evo in cui è nato. Il cristianesimo in 2mila anni è costantemente cambiato. L'islam non ha conosciuto Rinascimento, età dei Lumi, età moderna, vuole affermarsi come è nato».

Non ci sono fermenti o speranza di una evoluzione?

«La religione fonda un'identità sociale immobile. La cultura europea mette al centro l'uomo. In questa logica europea ci sarebbe una possibilità ma è un percorso lungo e faticoso, che capovolge una prospettiva e mette al centro non più il libro ma l'uomo. Poi nel 95% dei casi c'è un islam illiberale che schiaccia tutto. Quindi c'è la speranza di un islam contaminato ma la probabilità concreta è infinitesimale».

Nel mirino, sempre le donne.

«Perché sono il motore del cambiamento. Ecco perché si cerca di controllarle e di schiacciarle se non garantiscono continuità».

Dodici anni dopo il caso di Hina, ancora Brescia. Un caso?

«No, c'è stata una forte immigrazione islamica da certe aree e comunità che hanno cercato di replicare delle enclave culturali. Quello è un esempio di penetrazione senza integrazione».

Il clan fondamentalista richiama la logica del clan mafioso?

«Solo in parte. Come la mafia è struttura parallela ma la mafia è in competizione con lo Stato, l'islam radicale no. Incorpora la dimensione religiosa e politica».

Che fare? La scuola serve?

«È fondamentale.

Dimentichiamo l'integrazione e parliamo di convivenza possibile e di rispetto che si deve imparare a scuola. Una scuola delle diversità, non di quegli imbecilli che tolgono il crocefisso, una scuola che non annulla ma sottolinea le diversità. E chi non le accetta è fuori».

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