Roma - «Ogni giorno che resto, vinco». Un passo dietro l'altro o un chilometro dopo l'altro, tra battaglie politiche e bus da far circolare per Roma, la marcia di avvicinamento al potere del M5s scopre un nuovo soggetto politico: Andrea Mazzillo. È un ex assessore della giunta Raggi, liquidato dalla sindaca, ma ancora sopportato dal Movimento. Anzi, sopportare non è il verbo giusto e già per questo la storia rivela che i conti tra Virginia Raggi e il resto dei Cinque Stelle restano aperti. L'elemento che ha spinto Mazzillo fuori dal raggio-magico è stato il caso Atac: lui era contro il concordato preventivo, «anticamera di un fallimento annunciato». Lo ha fatto presente e gli hanno risposto da Livorno: «Ho saputo che avrei lasciato la giunta solo perché ho letto che il sindaco livornese Nogarin aveva concesso a Lemmetti la possibilità di venire a Roma, al mio posto». Mazzillo ha salutato l'amministrazione Raggi il 24 agosto, il concordato è partito.
Mazzillo è a Rimini per Italia a Cinque Stelle?
«Certo».
Intanto per risolvere i problemi Atac è arrivato Paolo Simioni, che è presidente, ad e dg. Tre cariche apicali per uno stipendio di 240.000 euro all'anno. Conferma?
«Non conosco le cifre, non faccio più parte della giunta, so che l'assessore Colomban sottolineava da tempo le doti manageriali di Simioni».
Simioni ha appena spiegato, al «Sole 24 Ore», la ricetta per salvare Atac. La condivide?
«No, assolutamente, perché non spiega dove stanno i soldi per rilanciare l'azienda».
A Roma qualcuno delinea uno scenario: Mazzillo vuole tornare con il Pd...
«Tornare? Mi sono presentato come indipendente con Veltroni, nel municipio di Ostia. Dopo quell'esperienza ero nauseato da quella politica e l'ho lasciata. Ho scoperto un'altra politica con il Movimento e non lo lascio».
Ripartiamo da Atac: cosa continua a non convincerla del concordato preventivo?
«Che per esempio esclude i fornitori, che vedono tagliati fuori i loro crediti. Penalizzare l'indotto significa creare dei possibili danni a piccole e media imprese, che già parlano di licenziamenti. Si tratta di circa 4mila lavoratori, delle loro famiglie, di un rischio povertà per almeno 10mila persone. I vertici Atac parlano di potenziare il servizio, di aumentare i 1.350 bus in servizio, ma sono già meno e continueranno a scendere».
Perché?
«Perché, per esempio, le piccole imprese, che non vedono tutelato il loro credito, non sono più in grado di fornire i pezzi di ricambio. Così continua la cannibalizzazione, vengono presi pezzi da altri bus e diminuisce il numero dei mezzi che possono circolare. Per non parlare delle aziende che gestiscono la riscossione dei pagamenti sulle strisce blu. Tra un po' non forniranno più la carta per stampare gli scontrini».
La sua proposta?
«Vendere quote della partecipate e reinvestirle su Atac».
Non lo vieta la legge Madia?
«È falso, si può a condizione che vengano reinvestiti, per esempio nell'acquisto di nuovi mezzi».
Ha parlato di questo con Di Maio?
«Sì, per poi aprire un tavolo di discussione, come si è sempre fatto nel Movimento».
Ha più sentito Di Maio, Grillo, Casaleggio, Fico, Raggi...?
«Sento tutti i giorni i militanti come me».
Ultimo scenario: Atac fallisce, viene acquistata da Ferrovie dello Stato e una belle percentuale dei 12mila dipendenti se ne resta a casa.
«Non è la soluzione della quale discutiamo nel Movimento».
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