Referendum, Renzi trema: ora i "no" sono in vantaggio

I "no" in vantaggio con il 52%. Sulle intenzioni di voto pesa il risultato del voto amministrativo. Le grandi agenzie di rating premono per il sì: Fitch fa sapere che il sì potrebbe mettere a rischio le riforme

Referendum, Renzi trema: ora i "no" sono in vantaggio

Nella bufera per i risultati delle elezioni amministrative, il governo di Matteo Renzi trema anche per i sondaggi sulle intenzioni di voto al referendum costituzionale in programma per ottobre.

Secondo una rilevazione di EuroMedia Research, escludendo gli indecisi (che pure sono ancora il 40%), i contrari alla riforma della Carta sarebbero ormai il 52,1%, mentre i favorevoli appena il 47,9%. Percentuali di "sì" molto alte, com'era prevedibili, fra gli elettori di Partito Democratico e Nuovo Centrodestra, mentre i no prevalgono fra gli elettori di Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d'Italia - oltre che fra quelli di Movimento Cinque Stelle ed estrema sinistra.

Il risultato del referendum, per altro, non potrà non essere influenzato dal risultato dei ballottaggi del 19 giugno, che decideranno il sindaco a Milano, Roma, Torino, Napoli e Bologna e che da più parti sono interpretati come un referendum pro o contro il governo e il presidente del Consiglio.

Sondaggi referendum costituzionale

I timori delle agenzie di rating

L'esito del referendum costituzionale, peraltro, preoccupa assai anche le agenzie di rating. L'agenzia Fitch ha fatto sapere in una nota come il risultato del voto sarà "fondamentale per determinare se la spinta alle riforme continua o va in stallo". Una posizione che per molti aspetti ricalca quella delle altre agenzie.

Nel 2013 Jp Morgan aveva scritto esplicitamente in un documento interno in cui era riportato come fosse necessario modificare le costituzione dei Paesi del Sud Europa "fortemente influenzate dalle idee socialiste perché riflettono la forza politica raggiunta dalla sinistra dopo la sconfitta del fascismo".

"Esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle Regioni; tutele costituzionali dei diritti dei

lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo" sono, secondo Jp Morgan, elementi di instabilità di ostacolo alla crescita.

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