Matteo Basile
Quello che si sospettava da tempo, ora è ufficiale. Il governo egiziano ha tentato in tutti i modi di insabbiare il caso Regeni anche intervenendo sulla stampa, cui è stato imposto un «ordine di non pubblicazione» nell'ambito di un «piano segreto» del ministero dell'Interno per mettere a tacere le voci critiche verso il regime, dai giornali ai sindacati. A rivelarlo è l'agenzia statunitense Associated Press che ha portato alla ribalta un documento riservato che lo stesso ministero ha inviato per sbaglio a diversi media egiziani.
Omertà governativa e una richiesta perentoria di silenzio ai mezzi di stampa per evitare la diffusione di notizie sulla fine del ricercatore friuliano, torturato brutalmente e ucciso in circostanze ancora tutte da chiarire. «Una nota suggeriva che il procuratore generale ha imposto un obbligo di non-pubblicazione sulle indagini nel caso del dottorando Giulio Regeni», scrive l'agenzia. Un dettaglio emerso per colpa di uno sbaglio clamoroso. Dopo l'arresto domenica scorsa di due giornalisti di sinistra all'interno della sede del sindacato della stampa, unico «santuario» finora inviolato dal regime egiziano, il ministero si aspettava una crisi sociale e diplomatica e ha quindi approntato un «piano segreto» per gestire l'emergenza, aggravata anche dalle polemiche nazionali e internazionali sollevate dal caso Regeni. Ma questo piano è stato, per un «errore tecnico», inviato ai media inseriti nella mailing list del dicastero ed è stato quindi pubblicato. Il piano, riservato all'attenzione del ministro, il generale Magdy Abdel Ghaffar, consigliava tra l'altro di ricorrere a «esperti della sicurezza o a generali in pensione» per farli parlare in tv difendendo il punto di vista del ministero. Una clamorosa figuraccia, che getta ulteriore discredito sul governo di Al Sisi, alle prese con una crescente opposizione anche interna.
Il principale quotidiano governativo, Al Ahram ha chiesto esplicitamente il licenziamento del ministro sottolineando gli ultimi errori commessi mentre Al Masry Al youm sostiene che l'episodio riflette «lo stato confusionario in cui versa il ministero».
Tra mancate verità, collaborazioni di facciata e tentativi di insabbiamento, adesso anche la chiara volontà di zittire la voce di chi chiede giustizia per Giulio Regeni. Le hanno provate davvero tutte dal Cairo per non far luce sul caso, soprattutto negando ogni coinvolgimento delle forze di sicurezza, ufficiali o meno che siano, come se i terribili segni di tortura sul corpo di Giulio potessero essere ascritti a chissà chi al di fuori della ristretta cerchia di «macellai di stato» che imperversano nel sottobosco di milizie segrete al Cairo. «Sono state persone malvagie», disse Al Sisi poche settimane fa. Ma l'omertà egiziana non ha ottenuto nessun risultato se non creare un diffuso e generalizzato senso di indignazione verso il regime. L'Italia, solitamente remissiva quando si tratta di far valere i propri diritti, si è schierata compatta e decisa contro l'Egitto. Dalla politica alla cultura, passando per lo spettacolo e lo sport è stato un costante coro unanime di richiesta di giustizia per Giulio Regeni, con l'appoggio più o meno ufficiale anche di Paesi stranieri.
L'ultima farsa l'Egitto ha provato a metterla in scena ieri chiedendo chiarezza sulla morte di un immigrato clandestino
egiziano trovato cadavere nei pressi di un ferrovia a Napoli, mettendo questo episodio sullo stesso piano della fine di Regeni. Ma l'ennesimo scandalo ha travolto, una volta di più un governo sempre più solo contro tutti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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