Regeni, spuntano i documenti. Ma c'è aria di messinscena

Per il Cairo caso chiuso: rapina finita male. Il passaporto nella casa della sorella del capobanda. Pignatone: "Elementi non idonei a fare chiarezza"

Regeni, spuntano i documenti. Ma c'è aria di messinscena

E meno male che il presidente egiziano al Sisi aveva promesso solennemente che sulla morte di Giulio Regeni si sarebbe fatta chiarezza. Perché quella «chiarezza» che ora dal Cairo viene offerta all'Italia è una versione che sembra fatta apposta per liquidare la faccenda esattamente come il governo di al Sisi ha fatto fin dal primo giorno: un caso di criminalità comune. Giulio Regeni sarebbe stato ucciso perché si ribellava ad un tentativo di rapina. Non c'entrano le ricerche che effettuava sul campo, i suoi contatti con il mondo dell'opposizione, gli apparati di sicurezza che lo tenevano d'occhio. Un delitto da balordi, tutto qui. Una tesi che fa acqua. Tanto che lo stesso procuratore capo di Roma, incassando il plauso di Palazzo Chigi, fa sapere: «La procura di Roma ritiene che gli elementi finora comunicati non siano idonei per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni e per identificare i responsabili dell'omicidio».Il colpevole, per il Cairo, ha un nome e un cognome: Tarrek Saad Abdel-Fattah, capo di una banda specializzata nei rapimenti di occidentali a scopo di estorsione.

Non potrà mai discolparsi perché è morto, crivellato di colpi insieme a quattro suoi complici, in uno scontro a fuoco con la polizia nella zona di New Cairo. Come sia iniziata la sparatoria la polizia non lo dice, sta di fatto che non rimane ferito nessun poliziotto, e non sopravvive nessuno della banda. In casa di una sorella dei morti, salta fuori il passaporto di Regeni. E la moglie e la sorella di Tarek raccontano alla polizia che è andata proprio così, volevano solo derubare l'italiano, lui ha reagito e lo hanno colpito. Il caso è chiuso.La versione, ovviamente, non sta in piedi neanche un po'. In un primo momento, giovedì scorso, gli egiziani avevano provato ad accreditare l'ipotesi di un rapimento finito male: peccato che mai a nessuno fosse pervenuta una richiesta di riscatto per Regeni. Allora si passa alla pista della rapina occasionale. Ma dove, quando? Regeni sparisce nel nulla alla fermata delle metropolitana di Al Behoos, zona popolosa: ma nessuno assiste a un tentativo di rapina seguito da un pestaggio. Poi ci sono le lesioni sul corpo dell'italiano, riscontrate sia dai medici legali egiziani che dai loro colleghi italiani: innumerevoli, sparse ovunque, con tracce evidenti di torture. Nulla a che fare con i pochi colpi che si possono rifilare a una vittima per convincerla a mollare il portafoglio. E poi c'è l'elemento decisivo, anche questo emerso dalle autopsie: Giulio Regeni è rimasto per almeno sette giorni nelle mani dei suoi rapitori. Tra la scomparsa del ricercatore, avvenuta la sera del 25 gennaio, e la sua morte passa almeno una settimana.

Quando viene ritrovato il suo corpo, il 3 febbraio, Regeni ha cessato di vivere da non più di tre giorni. Se fosse vera la versione che in queste ore il Cairo cerca di accreditare, l'italiano sarebbe morto il giorno stesso della sua scomparsa: ma in questo caso il 3 febbraio i segni di decomposizione sarebbero stati ben più avanzati.Insomma, la storia non regge. E le reazioni che arrivano ieri dall'Italia, tra lo scettico e l'indignato, sono tutte dello stesso segno. «L'Italia insiste: vogliamo la verità», sintetizza su Twitter il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. In serata un comunicato governativo fa sapere che «le indagini continuano» ma solo per appurare il ruolo che nella vicenda hanno avuto la moglie e la sorella di Abdel-Fattah. Di fatto, il provvidenziale scontro a fuoco con la banda di delinquenti comuni fornisce al Cairo i colpevoli ideali. E nel caso che prima o poi qualcuno torni nuovamente a raccontare di uomini degli apparati di sicurezza che ronzavano intorno a Regeni, ecco che ieri salta fuori la spiegazione preventiva: nella casa di Abdel-Fattah sono stati trovati due tesserini falsi da appartenente ai servizi di informazione.

«Siamo feriti e amareggiati dall'ennesimo tentativo di depistaggio da parte delle autorità egiziane - dicono i genitori di Regeni - e certi della fermezza con la quale saprà reagire il nostro governo a questa oltraggiosa messa in scena, costata la vita a cinque persone».

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