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Regioni rosse costrette a cedere alla manovra dell'aria fritta

Dopo l'incontro, i governatori di centrodestra denunciano: "Insoddisfazione e delusione assoluta". Ma i presidenti Pd chinano la testa al governo

Regioni rosse costrette a cedere alla manovra dell'aria fritta

La coperta della legge di Stabilità è troppo corta per accontentare tutti. Ieri il premier Renzi ha fatto dietrofront con le Regioni, evitando nuovi incrementi delle addizionali Irpef e Ires nonché dei ticket sanitari che i governatori erano pronti a fargli esplodere in faccia. Per un aumento delle imposte che si riesce a evitare, ce ne sono altri in rampa di lancio su bollette e casa.

È grande l'imbarazzo per Matteo Renzi e per il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. Il governo, nel corso del vertice con i governatori di ieri, ha assicurato alle Regioni circa 1,3 miliardi di fondi in più rispetto a quanto previsto dal ddl Stabilità. Il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, ha salutato favorevolmente la mossa sostenendo che l'intesa «ci può portare a condividere la Stabilita». Su 2,2 miliardi di risorse tagliate - oltre al minor incremento del Fondo sanitario - «mancano altri 900 milioni», ha aggiunto.

Certo, il fronte dei governatori è ora meno compatto perché ora protestano solo Liguria, Lombardia e Veneto, rette dal centrodestra. «Non si ha il coraggio di far pagare le Regioni meno virtuose», ha commentato il governatore veneto Luca Zaia. In ogni caso, domani il Consiglio dei ministri varerà un decreto che consentirà di mettere una prima toppa. Probabilmente, Renzi scenderà a più miti consigli pure sul resto. «Lavoriamo insieme e niente demagogia», ha detto nel corso della riunione per minimizzare.

Un'altra amara sorpresa è giunta, invece, ieri dal ministro Padoan. La riforma del catasto, prevista dalla delega fiscale ma non attuata dal governo, «non è accantonata ma è all'ordine del giorno», ha detto in audizione. A causa delle pressioni della Commissione Ue, l'esecutivo dovrà rimettere mano su quel decreto attuativo che l'estate scorsa non fu varato per calcoli elettorali. Il testo prevedeva un ricalcolo delle rendite degli immobili in base a metri quadri e prezzo di mercato. Il sistema avrebbe provocato aumenti medi del 150% a Milano e del 200% a Roma, portando i ricavi da Imu e Tasi da 24 a circa 30 miliardi a dispetto della prevista invarianza di gettito. Per Renzi e Padoan un altro rompicapo.

A tutto questo si aggiungono due innovazioni previste dalla Stabilità che potrebbero trasformare le bollette nel bancomat dello Stato. La prima riguarda la Cassa conguaglio per il settore elettrico (Ccse) e promette un incremento sicuro dei prezzi. Il comma 46 dell'articolo 33 dispone la trasformazione della Ccse in ente pubblico economico, ossia in un persona giuridica (cioè una società) con proprio patrimonio e proprio personale che si chiamerà «Cassa per i servizi energetici e ambientali (Csea)». La costituzione del patrimonio sarà effettuata prelevando 100 milioni «dalle risorse detenute dalla Ccse presso il sistema bancario» e poi riassegnati ad «apposito capitolo di spesa». Questa partita di giro tra la Cassa e l'Entrata del bilancio dello Stato comporterà l'aumento delle bollette perché il prelievo è certo, ma non la successiva redistribuzione di queste risorse che spettano per legge agli operatori del settore sotto forma, tra l'altro, di incentivi per le rinnovabili e oneri di smantellamento per le centrali nucleari. Anche la famigerata «riduzione del canone Rai» tramite l'inserimento in bolletta non promette nulla di buono. Il ddl non prevede nessun riconoscimento delle spese che le utility dovranno sostenere: il servizio di riscossione comporterà infatti un costo sia per l'adeguamento del software che per la separazione degli incassi. È tutto rimandato a un successivo decreto che, se non conterrà un conquibus , costringerà le società energetiche a rivalersi sui loro stessi clienti.

Ai poveri utenti non resterà che mettere mano al portafogli per sostenere la grandeur renziana.

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