Roma - Campagna elettorale. In Italia gli ultimi dati Istat parlano di 3 milioni di agricoltori: oltre un milione e seicentomila sono iscritti alla Coldiretti. Agricoltori ed elettori. La caccia grossa al voto è iniziata: dai Cinque Stelle al Pd.
Hanno categoricamente detto sì al referendum Renzi-Boschi, «ma non facciamo politica diretta». La scelta per il 4 dicembre 2016 non è stata vincente. Sono contrari agli organismi modificati geneticamente. Parlano di «filiera corta» e la sostengono «concretamente in oltre mille mercati italiani». Più guadagni per chi coltiva, maggior risparmio per chi acquista.
In Italia la campagna agraria ha preso vigore alla vigilia del 25 aprile, sincronizzata con il voto francese. Che ha confermato le intenzioni della vigilia: un agricoltore su tre aveva dichiarato che avrebbe votato per Marine Le Pen. Fatto. Una tendenza già emersa negli Stati Uniti, a favore del presidente Donald Trump. E la Brexit? In Gran Bretagna i contadini sono ormai il 3% dell'elettorato, però hanno scelto in maggioranza di lasciare l'Ue.
Matteo Renzi si è mosso per primo, quasi in sordina. Sceso in campo per le primarie del Pd ha annunciato chi sarebbe stato il suo braccio destro, il potenziale vice-segretario. E ha scelto Maurizio Martina, ministro delle Politiche Agricole dal 2014 e confermato da Gentiloni, da sempre impegnato in quel settore all'interno del suo partito. Martina ha 38 anni, una laurea in Scienze Politiche e un passato da segretario regionale del Pd lombardo, andato a picco proprio sotto la sua guida. E se Renzi punta su Martina, ecco la contromossa pentastellata: Grillo in campo (agricolo). Il comico ha lanciato sul proprio blog il programma di governo per l'agricoltura. Il punto di partenza è sempre lo stesso: vedere dove si possono raccogliere più voti. E dunque costruire un programma che possa soddisfare quelle categorie che hanno il maggior peso elettorale. Sacrificando chi voti ne può portare di meno: in questo caso la «grande distribuzione».
Il programma #Agricoltura del movimento si sta discutendo in rete, in queste ore. «E ha sintonie ripetute e non attese con quelle che sono le azioni che abbiamo lanciato e sostenuto almeno negli ultimi quindici anni», spiega Stefano Masini, responsabile dell'ufficio studi Coldiretti. Che aggiunge: «Oggi l'idea che l'agricoltura sia un bene comune del nostro Paese è condiviso da tutti, non a caso le leggi che passano sempre all'unanimità in Parlamento sono quelle che riguardano questo settore».
I «grillini» stanno al gioco. Le parole chiave del programma sono le stesse della maggioranza degli agricoltori e della confederazione che più li rappresenta. Una consueta strizzatina d'occhio grillina? «Non credo si tratti di ammiccamenti, il punto semmai è un altro. Non è un calcolo, oggi l'agricoltura ha appeal, è il settore più all'avanguardia dell'economia italiana, lo dicono i numeri: 50.543 nuove imprese agricole dal 2013, l'8,4% di imprese condotte dai giovani, con prevalenza al Sud e nelle Isole; metà dei nuovi agricoltori è laureata, il 60% fa innovazione. Su questi temi nasce il confronto, anche con il programma Cinque Stelle».
Non meravigliano le comuni perplessità sui trattati internazionali che aprono ai prodotti stranieri. Decisamente più sorprende il riconoscimento pentastellato al Piano agricolo comunitario e ai 52 miliardi di euro in dotazione dal 2014 al 2020, ma anche all'importanza del ruolo di mediazione delle associazioni di categoria, come per esempio l'Aia per lo sviluppo dell'allevamento nazionale. «Su altri si discuterà, va bene.
Il primo esempio che mi viene in mente? Loro parlano della rimozione degli allevamenti intensivi, ma in una realtà come quella italiana la cosa deve essere almeno graduale». Servirà un compromesso, ma ormai il Grillo di campagna c'è abituato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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