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Renzi fa i dispetti agli alleati ma si incontrerà col premier

«Senza vere aperture su giustizia e riforme, inutile restare al governo». Più vicino il redde rationem

Renzi fa i dispetti agli alleati ma si incontrerà col premier

Basta «teatrino», ci vuole «un chiarimento».

Matteo Renzi chiede un incontro al premier, Conte risponde «porte aperte», i due si vedranno - presumibilmente - la settimana prossima. Cosa accadrà poi resta misterioso, anche per gli stessi renziani. «Non abbiamo capito cosa davvero abbia in testa di fare», confida un dirigente di Italia Viva. Del resto, sono settimane che l'ex premier tiene tutti sulla corda, confondendo gli avversari (ma anche gli amici) con un movimentismo frenetico e difficilmente prevedibile.

Ieri, per dire, i suoi hanno votato la fiducia in Senato sul decreto intercettazioni, come Renzi aveva preannunciato a Porta a Porta: «La voteremo per carità di patria». Lui, però, in aula non c'era e dai tabulati risultava in congedo: non ha votato. La maggioranza si ferma a 156, sotto la soglia psicologica dei 161 di maggioranza. Nel frattempo, a Montecitorio si conclude l'esame del decreto Milleproroghe, e i deputati renziani votano per ben dieci volte in dissenso con la maggioranza sugli ordini del giorno allegati al decreto, su temi che vanno dalla prescrizione, alla plastic e sugar tax, alle opere pubbliche. Votazioni senza alcun reale peso parlamentare, ma il segnale politico resta.

E da Conte, nel futuro faccia a faccia, il leader di Italia viva spiega ai suoi che andrà con spirito battagliero: «La settimana prossima vedo il premier, quella successiva Conte verrà in Parlamento a chiedere un voto sulla sua Agenda 2023: a quel punto, è più facile che noi siamo fuori piuttosto che dentro». In ogni caso, assicura, «nei prossimi cinque-sei giorni si capirà se vale la pena restare in questo governo o no». Il leader di Italia viva ha chiaro che l'intento del premier è quello di provare a stanarlo, con quel voto sulla misteriosissima Agenda 2023, e di accelerare i tempi per non restare appeso alle mosse dell'ingombrante alleato, mettendo i suoi gruppi parlamentari davanti ad una difficile scelta, nella speranza di dividerli.

Renzi, dal canto suo, annuncia di andare all'incontro con Conte con una sua agenda di punti irrinunciabili: la resa (o la testa) del ministro Bonafede sul fronte prescrizione (ben sapendo che, oltre ad essere il capo-delegazione grillino nel governo, il Guardasigilli è assai legato al premier, che non può nè vuole sacrificarlo); l'abolizione o revisione del «fallimentare» reddito di cittadinanza; la battaglia per la «giustizia giusta»; la riforma che ha sintetizzato con lo slogan del «sindaco d'Italia» e la riapertura e accelerazione dei cantieri, su cui ieri ha presentato il «piano Italia Shock». Sembra un elenco di punti fatto apposta per farsi dire di no: «Al massimo - ragiona con i suoi - Conte potrà dire sì ai cantieri e ni al sindaco d'Italia», che tanto avrebbe i tempi biblici delle riforme istituzionali, e dunque potrebbe tornare utile al capo del governo per allungare il brodo. «Ma a meno di grandi aperture, per noi è inutile restare al governo a queste condizioni: le idee contano più delle poltrone», chiosa Renzi. Se davvero Conte andrà in Parlamento a chiedere un voto su di sé (col pretesto dell'Agenda), arriverà il redde rationem: se non avrà i numeri, l'ex premier ne è certo, ci saranno le condizioni per un nuovo governo.

Se invece Italia viva si spaccasse e arrivassero i famosi «responsabili» a dar manforte, Conte resterà in sella. Ma sempre più indebolito, e in una situazione difficile: «Con la recessione in arrivo e una maggioranza fragile, può resistere solo qualche mese».

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