Renzi fa il record di fiducie, Napolitano sta zitto

RomaFiducia e leggi pot pourri : è record di Renzi. Ma questa volta Re Giorgio tace. Tutti i governi hanno sempre fatto largo uso della decretazione d'urgenza e/o posto la questione di fiducia sui propri provvedimenti per bypassare la melina del Parlamento; e tutti gli esecutivi hanno sfornato provvedimenti-macedonia: decreti che hanno un titolo ben preciso ma che contengono tutto e il contrario di tutto. E Napolitano, severo custode del corretto funzionamento dell'iter legislativo, ha sempre tirato le orecchie al premier di turno. Con Renzi, però, il capo dello Stato diventa afono o quasi. E dire che il premier sovrasta i suoi predecessori quanto a «fiducite» e decreti omnibus. Il premier, in carica da fine febbraio, in dieci mesi ha sfondato quota 32. Openpolis ha fato la media del tasso di fiducia rispetto al totale delle leggi approvate. Risultato: Renzi va oltre il 52%; il predecessore Letta (aprile 2013-febbraio 2014) chiese la fiducia 10 volte e si è fermato al 24,3%; Monti 51 volte ma governò da novembre 2011 ad aprile 2013 con una media di 45,1%; Berlusconi (2008-2011) 53 volte (media di appena il 16,4%) mentre il predecessore Prodi (2006-2008) 27 con una media del 33,9%.

Questi i freddi dati. Da notare che, nonostante i governi Monti e Letta potessero contare su una maggioranza bulgara frutto delle larghe intese benedette proprio da Napolitano, Palazzo Chigi continuò a strattonare il Parlamento a colpi di fiducia. Un altro dato è però incontestabile: il capo dello Stato, quando al governo c'era il Cavaliere, sparacchiava moniti a raffica: «Basta con gli abusi dei decreti legge e dei decreti omnibus». Alzò il ditino agli inizi di febbraio in occasione del provvedimento «salva-Englaro», si ripetè due settimane dopo sul «decreto anti-stupri», fece il tris qualche giorno dopo sul «decreto incentivi» con conseguente plauso-denuncia di tutta la sinistra in coro.

Con Berlusconi, Napolitano era rigidissimo; poi s'è ammorbidito un po'. Con Monti si ricorda solamente un intervento a fine marzo del 2012: «Il capo dello Stato non si esimerà dall'esercitare un vaglio rigoroso dei presupposti per l'emanazione di ulteriori decreti legge e dal richiamare a un ricorso solo in casi di giustificabile necessità alla posizione della fiducia». Una «monitino» pallido pallido tanto che Di Pietro andò su tutte le furie: «Monti, per prepotenza e voglia di assolutismo è peggio di Berlusconi. È il tramonto della democrazia parlamentare». Pochi ammonimenti anche con il successore del Professore, Enrico Letta. Ma in un'occasione, fine dicembre 2013, il premier l'aveva fatta fuori dal vaso: nel decreto «salva Roma» aveva infilato 10 articoli da 90 commi ciascuno che trattavano di tutto e di più. «Rinnovo l'invito ad attenersi nel valutare l'ammissibilità di emendamenti ai decreti legge a criteri si stretta attinenza all'oggetto del provvedimento, anche adottando opportune modifiche dei regolamenti parlamentari», scrisse Napolitano alle Camere.

E Renzi? Assolto o quasi. E dire che, sulla questione dell'abuso della fiducia, il premier ha pure detto sprezzante lo scorso 19 dicembre: «Posso garantire che il numero aumenterà anche in futuro». Per non parlare dei provvedimenti monstre. Palazzo Chigi è riuscito a inserire nel «decreto stadi» norme che istituivano un fondo destinato ad affrontare l'ingresso di clandestini nel territorio italiano; che con le curve c'entrano come i cavoli a merenda.

Oppure, ed è di qualche giorno fa il caso della legge di stabilità con la relativa denuncia del senatore Azzollini (Ncd): «È stato il governo a presentare già in commissione ben 90 emendamenti, alcuni dei quali contenenti norme microsettoriali e non solo. Una per tutte la previsione dell'assunzione di un dirigente, poi precipitosamente ritirata nel testo finale». Con il Colle muto.

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