Renzi fischiato dalla piazza e dal Pd

Il premier (contestato a Catania) attacca D'Alema. Ma la fronda lo gela: «Al referendum votiamo No»

Renzi fischiato dalla piazza e dal Pd

Roma - «Noi siamo pronti a discutere di legge elettorale. C'è bisogno che gli altri facciano le loro proposte, noi faremo le nostre». È l'unico passaggio, quasi en passant, che Matteo Renzi dedica all'Italicum nel suo comizio di chiusura alla Festa dell'Unità. In una Catania blindata e percorsa da cortei dei centri sociali conditi di No Tav, No Triv, No Muos e chi più ne ha più ne metta, decisi a tentare l'assalto al premier, e che vengono bloccati dalla polizia in tenuta anti-sommossa, tra cariche delle forze dell'ordine e lanci di molotov dei manifestanti.

Nessuna captatio benevolentiae verso la minoranza Pd, che reclamava un «impegno concreto» del premier a cambiare la legge elettorale minacciando che altrimenti, per dispetto, «non potremo votare Sì» sulla riforma del bicameralismo. Anzi, Renzi manda un avvertimento chiaro alla fronda interna: «Non ci faremo trascinare nella guerra del fango al nostro interno da chi pensa che sia opportuno litigare tra di noi, dimenticando che fuori di qui non ci sono le magnifiche sorti progressive della sinistra, ma la destra e i populismi». E infatti Roberto Speranza, aspirante leader della minoranza dalemian-bersaniana, si lagna: «Mi aspettavo più coraggio. Se le cose restano così il mio voto sarà No».

Il ragionamento che Renzi fa con i suoi dopo il comizio però è semplice: «Le aperture sull'Italicum io le faccio agli altri partiti, le modifiche eventuali le discuto con loro: non certo con la minoranza Pd, che tanto ha già deciso di schierarsi con Brunetta e Grillo per il No e troverà comunque un pretesto per farlo».

La disponibilità a possibili correzioni quindi resta, e come dice il premier è «totale»: a patto che non si tocchino quelli che per Renzi restano i capisaldi di un sistema elettorale in grado di assicurare governabilità: premio di maggioranza e ballottaggio. E pronto a rinunciare alle preferenze, in cambio di collegi uninominali. Ma se ne discuterà con le altre forze politiche, dalle quali a questo punto Renzi si aspetta «proposte».

Ai Cinque Stelle e alla loro crisi il premier dedica un accorato appello rivolto al proprio partito: «Vi chiedo il sacrificio, dopo mesi di insulti e accuse infamanti che abbiamo ricevuto da quel partito, di non rendere pan per focaccia attaccando Virginia Raggi». Perché «il voto dei romani va rispettato e chi è eletto ha il diritto e il dovere di governare: è questa la differenza tra noi e loro, noi le istituzioni le rispettiamo sempre, non solo quando c'è uno dei nostri».

Ma il vero clou polemico Renzi lo dedica ad un interno, «il presidente del consiglio emerito Massimo D'Alema». Gli fa persino il verso, imitandone la voce e la cadenza per leggere un estratto da un suo vecchio libro (Un paese normale, ma in realtà, chiosa «lui lo ha solo firmato, l'hanno scritto Velardi e Cuperlo, che sanno scrivere bene») in cui D'Alema perorava la causa di una riforma del bicameralismo esattamente nel solco di quella poi realizzata dal governo Renzi: «Ecco - spiega dopo aver letto le parole dalemiane - io la penso proprio come D'Alema».

Peccato, aggiunge, che «quelli come lui siano talmente esperti di passato da volerci fregare il futuro, cercando di alimentare la rissa interna di un congresso permanente».

Il referendum, conclude il premier, «non sarà l'ennesima tappa del congresso Pd. Sarà il bivio tra chi dice sì perché vuole cambiare, e chi dice no per rimanere nella palude».

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