Renzi mette le mani pure sul piccolo credito

Dopo il pasticcio Popolari, il premier vuole riformare anche gli istituti cooperativi. Ma il decreto "salva banche" rischia di mandare in rosso tutto il sistema

Renzi mette le mani pure sul piccolo credito

Dopo aver rivoluzionato il mondo delle banche popolari italiani con un decreto, Matteo Renzi intende mettere le mani (o comunque il cappello) sul credito cooperativo. Nell'intervista di ieri al Corriere il premier ha accennato alla riforma degli istituti che gravitano nell'orbita della cooperazione. «Abbiamo sistemato le popolari, tra mille polemiche», ha dichiarato aggiungendo che «dopo Natale vogliamo consolidare le banche del credito cooperativo, facendone uno dei gruppi bancari più solidi sul modello del Crédit Agricole».La citazione della banque verte è la vera spia dei sogni renziani di grandeur. Le banche di credito cooperativo (Bcc) sono la prima realtà in Italia per numero di sportelli (oltre 4mila), ma rappresentano un universo molto frastagliato in quanto le singole entità sono 370. Il governo, che aveva imposto alle Popolari con oltre 8 miliardi di attivi di trasformarsi in spa alla velocità della luce, con le Bcc aveva usato il guanto di velluto. Il ministro dell'Economia Padoan qualche mese fa aveva, infatti, caldeggiato assieme al governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, un progetto di autoriforma da completare entro la fine dell'anno, pena l'intervento con un decreto.Dopo una fase iniziale di maretta legata ai vari localismi, qualche settimana fa era stata trovata la quadra: un'unica società per azioni, partecipata dalle singole cooperative, avrebbe controllato le attività bancarie, proprio come accade in Francia con il Crédit agricole e con il Crédit Mutuel. La componente identitaria del Trentino e dell'Alto Adige (con il gruppo Raiffeisen) si sarebbe salvata, mentre tutto il resto sarebbe confluito otto il controllo di una casa madre che avrebbe potuto essere Iccrea, la società di servizi delle Bcc. Nonostante il paziente lavoro di cucitura dei presidenti di Federcasse (l'associazione di categoria), Alessandro Azzi, e di Confcooperative, Maurizio Gardini, le resistenze non si sarebbero del tutto placate. Un fattore di destabilizzazione è rappresentato dal recente decreto salvabanche che impone alle Bcc di versare entro il 7 gennaio 225 milioni al Fondo che salverà i 4 istituti in difficoltà. Questo prelievo, assieme ai 120 milioni che le banche-coop versano al loro fondo di categoria che assiste le Bcc in dissesto causa crisi economica, rischia di mandare in rosso quasi tutte le banche.Renzi ne ha così approfittato per sfoderare il suo pugno di ferro. «In passato i governi hanno deciso di non intervenire per il consolidamento del sistema bancario: noi, invece, non ci tiriamo indietro dinanzi alle responsabilità». L'interventismo finanziario del premier, però, non gli sta portando bene.

Ieri sotto Palazzo Chigi si sono raccolti alcuni manifestanti, tra i quali alcuni M5S, che protestavano per l'azzeramento dei bond subordinati delle quattro banche salvate esibendo cartelli con le scritte «Politici servi delle banche», e «Risparmiatori unitevi». Caustica Daniela Santanché (Fi): «I cittadini sono stati derubati dei loro soldi e il premier ha pure il coraggio di dire che il governo ha salvato le banche».

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