«Il problema non è chi di noi andrà al governo, ma che ci andiamo noi e non altri»: quando Matteo Renzi scandisce queste parole, più d'uno nella vasta platea del Museo ferroviario di Pietrarsa sussulta.
Solo un paio di giorni fa, il leader Pd era tornato a ribadire, in una intervista a Le Monde, un concetto semplice: chi vince le primarie è il candidato premier del Pd. Sta scritto nello statuto del partito, punto. Una risposta chiara a quei maggiorenti che vorrebbero un suo «passo di lato», alla vigilia di elezioni cruciali, e che gli chiedono - lo ha fatto esplicitamente Gianni Cuperlo dallo stesso podio, sabato - «un atto di generosità, perché tu da solo non basti». Così ieri, quando il segretario ha lasciato cadere quella frasetta, assicurando che «noi siamo una squadra» e che quindi il problema non è «chi» andrà al governo, in molti hanno drizzato le orecchie. A chi gli chiede se si tratti di un passo indietro, Renzi si limita replicare di non dare letture «sbagliate»: «Ma quali passi di lato - spiega - ho già detto al decennale del Pd, e ripeto oggi, che non staremo certo a litigare tra noi su questo». Nessuna rivalità con Gentiloni o altri: «Siamo una squadra». Però l'ex premier non ha alcuna intenzione di farsi levare il volante. Anche perché è convinto che il pressing attorno a lui non abbia per oggetto un dopo-elezioni quanto mai incerto, ma il presente: chi sarà il regista politico della campagna elettorale e della eventuale coalizione da costruire, e soprattutto chi avrà il bastone del comando sulla composizione delle liste elettorali. E su questo, garantisce, non farà alcun passo, né indietro né di lato. Tanto che nel suo intervento, che evita ogni polemica interna, lancia però un paio di avvisi: va bene fare un'alleanza «ampia» e aprire alla sinistra, ma nessuno pensi di mettere veti verso il centro, perché senza non si vince. Quanto alle liste, bisognerà candidare «persone in grado di prendere i voti e di proporre idee per il futuro». Renzi sa bene che tutti i capicorrente, da Franceschini a Emiliano a Orlando, che vogliono avere ciascuno un buon pacchetto di eletti, temono come la peste che il segretario offra loro i collegi e non i posti sicuri nelle liste, e li tiene sulla corda.
Quanto al futuro post-elettorale, Renzi sembra mandare un altolà, indirizzato al Colle, a soluzioni tecniche, sia pur di alto profilo (leggi Mario Draghi). Lo si capisce dalla appassionata perorazione del primato della politica, «unico antidoto ai populismi», e dalla dura condanna agli «anni della tecnocrazia al potere», durante i quali «la politica ha abdicato» e «l'Italia non ha messo bocca sulle banche, mentre altri in Europa le salvavano, e ha accettato regole» che hanno «indebolito» il sistema italiano e «ci hanno costretto a inseguire le crisi bancarie». Fornendo nuova linfa proprio ai populisti.
Non una parola, invece, sul caso pensioni. Nei giorni scorsi il vicesegretario Pd Maurizio Martina aveva aperto il fronte, chiedendo al governo il rinvio dell'innalzamento dell'età pensionabile. Il segretario invece evita l'argomento. Ma non perché voglia togliere la paternità della richiesta di Martina, spiegano i suoi: «Matteo è convinto che regalare quest'arma di polemica ai nostri avversari, in campagna elettorale, sia deleterio.
Quindi si sta lavorando col governo ad un emendamento alla legge di stabilità che congeli l'aumento dell'età». Gentiloni, aggiungono le stesse fonti parlamentari del Pd, sarebbe disponibile: «Il problema è che invece Padoan è contrario. Dovremo convincerlo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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