Renzi rischia l'autogol sul referendum "No Triv"

Si vota il 17 aprile

Renzi rischia l'autogol sul referendum "No Triv"

L'imbarazzo è palpabile. Soprattutto quello di chi nel 2011, a parti invertite, aveva tuonato contro il governo Berlusconi, accusandolo di non aver voluto accorpare i referendum su nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento (12 giugno) con le Amministrative (15 e 29 maggio) solo per boicottarne il quorum.

Esattamente lo stesso schema seguito ieri da Renzi che ha detto no all'election day. Il Consiglio dei ministri ha infatti stabilito che il referendum sullo stop alle trivelle si terrà il 17 aprile, nonostante la corposa tornata amministrativa di giugno, quando andranno al voto milioni di italiani in città come Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna.Una scelta, quella del premier, evidentemente tattica. E che mira a far sì che il quesito non raggiunga il quorum. Con costi, in tempi di spending review, davvero proibitivi. Non accorpare i due appuntamenti, infatti, comporterebbe un aggravio di spese quantificato tra i 300 e i 400 milioni di euro.

Cifre da capogiro, che rendono la strada intrapresa da Renzi piuttosto impervia. Per chi ha scalato prima il Pd e poi il Paese promettendo la rottamazione non solo della vecchia classe dirigente ma anche di certe abitudini da prima Repubblica, l'autogol è a un passo. Tanto che a puntare il dito contro il premier non ci sono solo i Cinque stelle, ma pure la minoranza del Pd guidata da Speranza («scelta incomprensibile»), Sinistra Italiana di Vendola e Fassina e Possibile di Civati. Oltre alle associazioni ambientaliste che, in blocco, si schierano contro il governo. Wwf, Greenpeace e Legambiente sono durissime, al punto da usare l'espressione «referendum truffa» e appellarsi a Mattarella («respinga la data proposta dal governo per consentire una votazione effettivamente democratica»). A completare il quadro, i senatori dell'Ala di Verdini («scelta dettata dal timore di un'eccessiva affluenza alle urne», dicono i siciliani Compagnone, Ruvolo e Scavone). Silenzio tombale, invece, nel centrodestra.

Con la sola eccezione del governatore del Veneto Zaia. Il 17 aprile, dunque, si voterà per abrogare la norma che stabilisce che le concessioni petrolifere già rilasciate durino fino all'esaurimento dei giacimenti, con una vittoria del «sì» che rappresenterebbe una mazzata per le compagnie petrolifere.

Senza election day e senza che Franceschini, oggi ministro dei Beni culturali, s'indigni. Nel 2011, da capogruppo del Pd alla Camera, fu durissimo con il governo Berlusconi. Esecutivo nel quale Alfano era ministro della Giustizia. L'unico, forse, davvero coerente.

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