Renzi sfida Pd, toghe e 5s Ma i dem ora si vendicano

Zanda attacca l'ex: «I nostri in cig mentre Open incassava 7 milioni». Matteo contro la Casaleggio

Renzi sfida Pd, toghe e 5s Ma i dem ora si vendicano

I risvolti dell'inchiesta Open, oltre che giudiziari, sono soprattutto politici. Perché se Matteo Renzi non si preoccupa dell'aspetto penale della questione («se pensano di farmi indietreggiare non hanno capito con chi hanno a che fare») è meno tranquillo sul piano politico. Non c'è dubbio che la sua immagine esca danneggiata dalla storia dei finanziatori della sua fondazione che hanno ottenuto ruoli di prestigio o dal caso della villa a Firenze comprata anche grazie al prestito (restituito) di uno dei maggiori finanziatori della Open.

E questo si capisce dai sondaggi. Secondo Nando Pagnoncelli sul Corriere, l'indice di gradimento degli italiani su Renzi, analizzato da Ipsos, scende in un mese di 6 punti, attestandosi al 10%, mentre la sua Italia viva passa dal 6,2% al 5,3%.

La vendetta dei suoi ex compagni è scoccata. Zingaretti, D'Alema, Bindi & Co. stanno mettendo a punto la tanto sognata resa dei conti contro quell'individuo che per anni si è preso gioco di loro con il falso mito della rottamazione e che poi ha preferito andarsene. E hanno sguinzagliato contro Renzi tutta la magistratura amica ben felice, anch'essa, di prendersi una rivincita.

Il castigo è iniziato e ciò si evince anche dalle parole del senatore Luigi Zanda, tesoriere del Pd che, su Repubblica, tira una bordata all'ex compagno di partito: «Renzi, da segretario del Pd, ha raccolto 7 o 8 milioni convogliandoli nella Fondazione Open che finanziava le sue attività politiche. Allo stesso tempo, sempre da segretario, metteva in cassa integrazione ben 160 dipendenti del suo partito, peraltro al verde per via della campagna per il referendum costituzionale del 2016, costata uno sproposito». Renzi scatenato replica da Bologna: «Nel 2013 c'era il finanziamento pubblico, le perdite erano di oltre 10 milioni. Quando siamo andati via, senza finanziamento pubblico, le perdite erano 600mila euro. Non siamo riusciti a rimediare a tutti i danni che avete fatto voi prima, ma abbiamo recuperato una parte significativa». E sfida pure Luigi Di Maio che propone una commissione d'inchiesta parlamentare sulle fondazioni: «Io propongo invece al M5s di applicare la Spazzacorrotti non solo a partiti e alle fondazioni ma anche alle Srl che collaborano con i partiti, a cominciare dalla Casaleggio».

Insomma, è partito il tutti contro tutti. Open è la parola da non pronunciare. E molti ex renziani rimasti nel Pd preferiscono far finta di non conoscere neppure l'inchiesta. All'assemblea di Base Riformista a Milano, la corrente che risponde al verbo di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, Renzi è l'innominato. «Il Lotti», però, non ce la fa a non difendere l'amico: «I finanziamenti che sono arrivati quando era segretario erano tanti, chi ha dato una mano alla fondazione lo ha fatto in maniera totalmente slegata rispetto al partito». E frena le parole di Zanda: «Vorrei che fermasse la polemica. La politica non si può fare con i risentimenti». Tuttavia «Luha», visto che di problemi con la giustizia ne ha sin troppi, per tutelare se stesso, giura piena fedeltà a Zingaretti. Anche se controvoglia. Come fanno anche altri fedelissimi ex renziani come Andrea Marcucci, la cui famiglia è proprietaria della Kedrion, farmaceutica che finanziava Open. Come fa, ovvio, anche Guerini, ministro della Difesa nel governo giallorosso, pescato da Renzi a Lodi e che oggi si gira dall'altra parte. Come fa pure Matteo Orfini, che non gioca più alla play station. O Graziano Delrio che deve tutto a Renzi ma che oggi non gli restituisce niente. O Debora Serracchiani, cortigiana della Open e ora sparita.

O Simona Bonafè che ha emesso i primi vagiti (politici) accanto a Maria Elena Boschi e che ora preferisce il silenzio. Ma si sa, quando cadi nella polvere, chi prima ti leccava i piedi, si dilegua. Senza pagare il conto.

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