Repulisti no stop in Turchia Arrestato il fratello di Gülen

Luciano Gulli

Non riuscendo a mettere le mani sul bersaglio grosso, negatogli finora con una serie di pretesti dagli Stati Uniti, dove il «bersaglio grosso» si è rifugiato, il Sultano che dirige la Turchia con frusta, sgabello e guanto di ferro se l'è presa con uno della famiglia avversaria. Come nelle faide di 'ndrangheta e nei cartelli dei narcos, dove essere cugino o fratello del boss è già un problema, e può costare caro. I personaggi e gli interpreti della sciarada sono i seguenti: il Sultano è il signor presidente della Repubblica turca, Recep Tayyp Erdogan. Il «bersaglio grosso» è Fetullah Gülen, il predicatore islamico accusato dalla Turchia di essere a capo dell'organizzazione terroristica ispiratrice del fallito colpo di stato del 15 luglio. Quello della famiglia Gulen che passa un guaio è il fratello del predicatore medesimo, Kutbettin Gülen, arrestato ieri a Smirne. La stessa città dove sabato scorso erano stati catturati in una retata 11 docenti universitari accusati di essere pericolosi «carbonari» anti regime e di comunicare attraverso un sistema criptato usato dai golpisti.

Nel complice silenzio degli Stati Uniti, che per questioni di realpolitik non si possono permettere di perdere un alleato strategico come la Turchia, continua nel frattempo il repulisti, a base di arresti e licenziamenti, nei confronti dei seguaci del predicatore Gülen. Ma anche di chi, senza essere «iscritto» ad alcuna fazione avversaria, è semplicemente contro il dirigismo di Erdogan. Ovvero contro chi (pur essendo stato eletto democraticamente) governa il paese col piglio di un domatore e i modi brutali di un questurino anni Cinquanta.

Così alto (ma ancora in progress) è il numero degli arrestati negli ultimi due mesi e mezzo che per portarli tutti alla sbarra si sta pensando di costruire un nuovo Tribunale nella cittadina di Sincan. Un'aula bunker che per capienza, procedendo di questo passo, minaccia di essere più grande del Maracanà. Perché non ci sono solo le tre agenzie di stampa chiuse a tempo indeterminato, insieme con 16 reti televisive, 23 stazioni radio, 45 quotidiani, 15 periodici e 29 case editrici.

Si calcola infatti che siano 32mila le persone finite in carcere con l'accusa di appartenere al «Feto» (da Fetullah Terrorist Organization). Mentre altre 70mila persone hanno perso il posto di lavoro con l'accusa, appunto, di remare contro. In sintesi: il golpe come un pretesto per silenziare l'opposizione, come accusano anche gli anti golpisti.

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