C hapeau! Il Nobel per la pace a Deni Mukwege e a Nadia Murat è un meritato riconoscimento a due esseri umani che la disgrazia ha trasformato in simboli della solidarietà e dell'aiuto al prossimo. Lui è un ginecologo congolese medico e tutore delle migliaia di donne vittime, nel suo disgraziato paese, degli stupri usati come armi d'intimidazione di massa. Lei è un'ex schiava yazida, simbolo vivente degli orrori del Califfato jihadista.
Guardando alle loro storie è difficile non ricordare quanto immeritati siano tanti Nobel assegnati, in passato, a persone e istituzioni che con la pace avevano poco da spartire. Il paragone più facile è con quel Barack Obama che nel 2009 si vide assegnare un Nobel preventivo. Un riconoscimento onorato con il bombardamento, nel corso del suo doppio mandato, di sette paesi cominciando dall'Afghanistan e passando per Iraq, Libia, Siria, Somalia, Yemen e Pakistan. Un Pakistan dove le bombe dei droni fecero fuori anche Giovanni Lo Porto, lo sfortunato cooperante italiano ucciso mentre era ostaggio di Al Qaida. Operazioni a cui fa da contraltare lo sconcertante ritardo con cui, nel 2014, intervenne nel nord Iraq condannando alla morte o alla schiavitù Nadia e migliaia di altri yazidi. E il paradosso più eclatante a fronte del premio a Deni Mukwege è il Nobel per la Pace assegnato nel 2001 alle Nazioni Unite. Fra i più attivi e impuniti violentatori vi sono infatti quei caschi blu che dal 1999, quando è iniziata la loro missione in Congo, si sono resi responsabili di almeno 700 stupri denunciati e documentati. Con un Palazzo di Vetro assai restio a far luce sulle vergogne di una missione che nonostante un costo vicino ormai ai 9 miliardi di dollari non solo non ha garantito la pace, ma ha inferto ulteriori sofferenze ai civili.
Ma tra i Nobel della vergogna come dimenticare quello all'Unione Europea testimone indifferente degli orrori di una guerra in Bosnia scoppiata subito dopo un referendum indipendentista di cui la stessa Europa si fece paladina.L'infame pregresso viene solo in parte riscattato dal premio alla generosità di due persone semplici, ma al tempo stesso grandi e giuste, come Deni Mukwege e Nadia Murat.
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