
Sa bene, Matteo Renzi, che secondo l'antico e consolidato copione cannibalesco del centrosinistra l'intentona per spodestarlo e fare un governo senza di lui fino al 2018 è partita appena chiuse le urne referendarie.
Protagonista, ovviamente, l'inossidabile «Tarzan»: è questo il soprannome con cui, in casa Pd, viene designato oggi il ministro della Cultura Dario Franceschini. E, prima di lui, il vecchio democristiano Vincenzo Scotti, noto per l'abilità e la disinvoltura con cui volteggiava di corrente in corrente a seconda del vento. Ieri lo stesso Franco Marini, di cui Franceschini è pupillo, confidava ad alcuni parlamentari Pd: «State calmi, già un mese fa Dario mi ha assicurato che, se il referendum fosse andato male, si sarebbe fatto un accordo per un nuovo governo». Un governo Franceschini, con un accordo allargato anche a pezzi di centrodestra berlusconiano (magari solo attraverso un appoggio esterno) e ovviamente alla minoranza Pd, oltre che all'attuale maggioranza, per evitare le elezioni anticipate cui punta invece Renzi. Contando sul terrore di gran parte dei parlamentari (inclusi i grillini, molti dei quali sanno che il loro ritorno in Parlamento è incerto) di veder sfumare la legislatura prima del tempo e del maturamento delle loro pensioni. Persino Sel sembra pronta ad accodarsi, pur di tenere in vita il parlamento in cui ancora siede: «Serve un esecutivo nuovo per fare la legge elettorale», si offrono i capigruppo Scotto e De Petris. Intanto D'Alema ricorda agli altri che esiste pure lui, e risponde a un giornale che gli ha chiesto un'intervista: «Non posso, sono in partenza per Bruxelles. Il mio dovere lo ho fatto: ho salvato l'Italia. Se hanno ancora bisogno di me sanno dove cercarmi».
Per questo, ieri, il premier ha iniziato a reagire alla congiura che nasce all'interno della sua stessa maggioranza nel partito, cercando di farla venire allo scoperto: intervenendo in Direzione, ha annunciato che lui si terrà le mani libere durante la crisi di governo, e da premier uscente non sarà lui ad andare alle consultazioni del Quirinale, ma una delegazione composta dal vicesegretario Guerini, dai capigruppo Zanda e Rosato e dal presidente Pd Orfini. E ha aggiunto che «la Direzione sarà convocata in maniera permanente, per riferire passo passo quel che succede: ogni scelta sarà discussa e votata qui, non verrà scodellata nei corridoi. Perché noi non abbiamo paura dello streaming». Un chiaro messaggio a tutti i «complottardi», nel cui novero i renziani sospettano sia incluso anche il ministro della Giustizia Andrea Orlando: «Vogliono dividersi i compiti: Franceschini a Palazzo Chigi e Orlando al partito», sussurrano. Insomma, nessuno pensi di poter impunemente tramare nell'ombra alle spalle del segretario: di ogni mossa ci si dovrà prendere la responsabilità. Messaggio già in parte inoltrato, nel pomeriggio, con una ultima enews da premier che ha preceduto la riunione del parlamentino Pd: «Non sono io a decidere, ma devono essere i partiti - tutti i partiti - ad assumersi le proprie responsabilità. Il punto non è cosa vuole il presidente uscente, ma cosa propone il Parlamento». Se si vogliono elezioni, bisogna dire «con che governo andarci», e attendere la sentenza della Consulta sull'Italicum, che darà indicazioni sulle modifiche da apportare. E se si vuole «un nuovo governo per fare la legge elettorale e gestire gli appuntamenti internazionali che spettano all'Italia, il Pd è consapevole della propria responsabilità: ma non può essere il solo, perché abbiamo già pagato il prezzo in un tempo non troppo lontano della solitudine della responsabilità, e anche gli altri partiti devono caricarsi il peso».
In serata, già in partenza per Pontassieve dove passerà a casa e in famiglia i prossimi giorni, Renzi si mostra ai suoi tranquillo e deciso: «La partita ora è nelle mani di quelli del fronte del No, non hanno più alibi e devono essere loro a dire che cosa vogliono fare», perché «chi chiede il voto, come Salvini o Grillo, deve dire con che governo ci si arriva. E se Forza Italia vuole un esecutivo di legislatura, magari guidato da un Pd come Franceschini, lo spieghi in pubblico.
E a chi gli chiede se sia disponibile a rifarlo lui, un governo per le elezioni anticipate, replica: Certo, se rimanessi io si potrebbe arrivare a votare anche a marzo. Ma figuriamoci se Salvini o i cinquestelle dicono che devo restare io. E se io accettassi un'ipotesi del genere perderei la faccia e tutti direbbero che ho fatto la manfrina».
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