"È il ritorno dei blocchi. Ma ora c'è più Europa"

L'economista Marc-Olivier Strauss-Kahn: deve prevalere la ragione. La reazione dell'Occidente senza precedenti

"È il ritorno dei blocchi. Ma ora c'è più Europa"

«Con la pandemia abbiamo chiesto agli economisti di diventare epidemiologi o infettivologi, ora di diventare esperti di geopolitica». Per Marc-Olivier Strauss-Kahn, economista e direttore generale onorario di Banque de France, docente a Sciences Po Paris e Senior Fellow all'Atlantic Council, dobbiamo invece «sperare che la guerra non duri e che prevalga la ragione». Al Giornale, spiega che «oggi la sola certezza è l'incertezza, bisogna riconquistare fiducia», perché «la conseguenza economica di un ritorno ai due blocchi sarebbe una crisi senza precedenti».

Lei ha lavorato nelle più alte istituzioni economico-finanziarie e politiche del mondo. Quanto è rischioso il ritorno dei due blocchi?

«C'è un parallelismo, ma oggi siamo in un mondo globalizzato. La differenza con la Guerra Fredda è che non c'erano quasi relazioni commerciali. Oggi siamo più dipendenti dalla Russia rispetto all'Europa all'epoca dell'Urss. Poi internet, la digitalizzazione e l'incidenza della finanza sull'economia reale, accelerano il contagio. Ecco perché è stata essenziale la reazione immediata. Le sanzioni hanno già avuto un impatto fortissimo, avranno effetti negativi anche sull'Europa ma per la prima volta l'unanimità è stata incredibile, compresi Paesi neutrali come la Svizzera».

Nel 2008 lei era alla Fed. Che differenze aspettarsi tra la crisi dei subprime, quella del Covid e quella della guerra in Ucraina?

«Ci sono similitudini tra le prime due, ma il modo di reagire non è stato lo stesso. Nel 2008 bisognava resuscitare la finanza, nel 2020 è come se avessimo messo all'economia un comando artificiale per permetterle di risollevarsi. Nel 2008 la finanza è stata la causa del problema. Nel 2020 faceva parte della soluzione. Adesso in Europa la crisi genera anche uno shock nell'offerta e il rischio è la stagnazione. Serve, anche per la Bce, impedire che le previsioni di crescita si fissino sull'idea che l'inflazione resti alta».

Puntare su nuovo debito comune per finanziare l'uscita dal gas russo e aiutare famiglie e imprese è una strada percorribile?

«Ciò che ci può aiutare sono piuttosto politiche budgetarie e strutturali. Uno sforzo per i rifugiati e per attenuare l'impatto del caro prezzi sui consumatori e sulle imprese, con sovvenzioni; trasferimento di approvvigionamenti energetici per non dipendere più dalla Russia e sforzi nella difesa. Oltre a meno crescita, il costo di bilancio per il solo 2022 è stimato a livello europeo in 175 miliardi di euro da Jean Pisani-Ferry».

La Russia può sostenere la nuova cortina finanziaria?

«É già molto colpita. Obbligata ad alzare i tassi d'interessi, a interrompere l'uscita di capitali, non può utilizzare le riserve che ha accumulato. É già in una pessima situazione economica, basta guardare il rublo. In una guerra economica, come in una guerra militare, il problema è non andare troppo lontano. L'Europa dipende dal gas russo e non può diventare indipendente dall'oggi al domani».

La storia non si ripete mai allo stesso modo, ma ci siamo vicini...

«Il rischio che corre Putin è di vedere gli oligarchi allontanarsi da lui e che lo isolino. Gorbaciov ebbe l'intelligenza di capire che il sistema sovietico era al capolinea, ma non siamo ancora lì».

L'Occidente guarda troppo al portafoglio o troppo poco?

«L'Europa ha sempre fatto

passi avanti grazie alle crisi, nelle crisi tutti diventano solidali. Talvolta ci vuol tempo, come nel 2008, o si va veloce come nel 2020 con il Recovery Fund. Oggi, in due settimane, c'è stata una coesione mai vista prima».

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