Roma come Caracas. Abbagliata dallo stesso sole e dalle luci intermittenti dei blindati. Le serrande abbassate, gli sguardi saettano dalle imposte semichiuse e gli impiegati mettono la punta del naso fuori dagli uffici. Per il momento niente pausa caffè. La città è in ostaggio. In piazza Indipendenza, a due passi dalla stazione Termini e a tre da via dei Fori Imperiali, c'è elettricità nell'aria e una mobilitazione in corso da ormai 5 giorni. Gli ex occupanti dell'edificio di via Curtatone non se ne vogliono andare. Fomentati dai movimenti «per il diritto all'abitare», sono disposti a tutto pur di restare a presidiare l'immobile da cui sono stati cacciati. Ad abbassare la temperatura mattutina non sono servite le scariche degli idranti della polizia che, alle prime luci dell'alba, è intervenuta a scoraggiare la resistenza dei circa 100 nordafricani rimasti a presidiare lo stabile. L'acqua ha sortito l'effetto contrario e, come benzina sul fuoco, ha surriscaldato gli animi dei manifestanti. Vengono dalla Somalia, dall'Eritrea, dall'Etiopia. Non sono irregolari, né in attesa di sapere se gli verrà accordata o meno la protezione internazionale. Sono dei rifugiati, dei rifugiati senza rifugio. La storia va avanti già da 4 anni. Il 12 ottobre 2013 i movimenti per la casa occupano lo stabile di proprietà della Sea Servizi Avanzati s.r.l. aprendolo a circa 700 nordafricani, molti dei quali già in possesso dello status di rifugiato. Dallo sgombero della scorsa settimana, gli «squatter» sono rimasti in mezzo alla strada. E stamattina è iniziata la guerriglia. Con il mondo che, di fronte a quelle immagini di tensione, ci punta il dito contro. Il Guardian di Londra titola: «La polizia italiana usa gli idranti contro i rifugiati». Ma le forze dell'ordine si difendono: «Gli occupanti erano in possesso di bombole di gas e bottiglie incendiarie».
Il proscenio dello scontro è eloquente, gli oggetti sparsi a terra frantumati e incendiati raccontano più di mille testimonianze. «Hanno lanciato un estintore dalla finestra e i bambini venivano esortati a schernire le forze dell'ordine», spiega un esercente che ieri ha tenuto la serranda a mezz'asta. Il bar all'angolo invece ha sfidato la sorte: «Abbiamo aperto comunque ma si è creato un fuggi fuggi di clienti, pensavano si trattasse di un attentato». Nell'affollatissima edicola di quartiere «ancora non si è visto nessuno». Quella dei commercianti è una litania corale: «Troppo degrado, quel palazzo andava sgomberato ma aver lasciato in strada tutta quella gente è una follia, così noi non incassiamo un centesimo da giorni». Questa è la situazione verso le 11. Ma le «danze» non sono chiuse. «Noi non ce ne andiamo», strilla nel megafono un etiope. A pochi metri dal «campo di battaglia», in viale Enrico De Nicola, c'è una conferenza stampa organizzata dagli attivisti del movimento che, come burattinai, muovono i fili della protesta. I toni sono accesi: «Italiani bastardi, non vi ricordate di quando siete emigrati in America?».
Poi tra i «rimasti» si sparge una voce: qualcuno di loro è stato arrestato, senza motivo, mentre rilasciava un'intervista. Un guizzo improvviso e la folla si sposta in direzione piazza dei Cinquecento ed è lì che una nuova carica la disperderà in più rivoli. «State uniti, fate squadra». La celere avanza compatta, blindati al seguito, fendendo l'aria. Dei contestatori, apparentemente, non c'è più traccia. Ne resta una manciata che staziona all'ingresso della metro. «Dove dormirete stanotte?». La domanda sorge spontanea. «Dormiamo per strada». Ecco perché erano così arrabbiati. «Ci hanno buttato fuori senza darci alternative». La società proprietaria dell'immobile si è detta disponibile a ospitare 60 di loro per 6 mesi.
Il Comune, invece, pur sapendo dello sgombero, si è mosso tardi, innescando malumori al Viminale. Ha messo a disposizione 80 posti letto. «E gli altri? Siamo più di 700». Roma è così: mentre i sedicenti profughi alloggiano in hotel, chi ha diritto alla protezione internazionale è su un marciapiede.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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