Saluti romani per Salò. Ecco il risultato della politica dei divieti

Il sindaco Sala aveva chiesto di proibire il raduno del 25 aprile. Ieri il blitz dei militanti

Saluti romani per Salò. Ecco il risultato della politica dei divieti

Centinaia di persone con il braccio teso ieri al cimitero Maggiore di Milano sulle tombe dei militi di Salò dopo che il 25 aprile un'ordinanza del neo prefetto Luciana Lamorgese su richiesta del sindaco Giuseppe Sala aveva vietato la tradizionale messa al Campo dell'Onore. «Me ne frego» anche a Cremona, dove oltre al sindaco Gianluca Galimberti d'accordo con la prefettura, anche il vescovo aveva negato perfino la benedizione alla tomba di Roberto Farinacci.

Ecco a cosa porta la politica dei divieti. Il tentativo sempre vano di incarcerare (e non solo metaforicamente), i pensieri. Giusti o sbagliati che siano. Perché un'idea eventualmente storta, si raddrizza con un'idea migliore e non certo con leggi speciali o ordinanze dei prefetti. Sempre se si è capaci di farlo. Un pensiero si può combattere con la dialettica o la persuasione, mai vietando. Soprattutto se di fronte si ha l'ardore di giovani il cui spirito per natura ribelle non può che infiammarsi di fronte ai proibizionismi di qualunque sorta. Figurarsi di fronte al fascino romantico che su di loro esercitano il sangue dei vinti e la nobiltà della sconfitta di una generazione di loro coetanei soffocata nel sangue e sepolta dalla bombe americane. Un effetto di emulazione inevitabilmente moltiplicato in questi tempi che hanno sepolto idee e ideologie, lasciando soprattutto nei ragazzi una spaventoso deserto di valori che seguendo la legge fisica dei vasi comunicanti evidentemente valida anche per le anime, chiede di riempire i vuoti con altre idee. Possibilmente forti. A quei ragazzi andrebbe casomai detto che se il loro Fascismo è rivoluzione, non c'è nulla di meno di fascista della ripetizione rituale di un saluto a braccia tese che era già vecchio quando nel 1943 nasceva la Repubblica sociale.

Meglio così che con i prefetti. Sarebbe bene pensarci prima di aver mandato sulle barricate e al massacro un'altra generazione, mettendo i giovani contro i giovani come è già stato fatto nel '77. E proprio ieri erano 42 anni dalla morte di Sergio Ramelli, il diciottenne del Fronte della Gioventù a cui una chiave inglese del servizio d'ordine di Avanguardia operaia sfondò il cranio. Perché dopo la rabbia dei partigiani (postumi) dell'Anpi e i divieti a celebrare il 25 aprile al Campo X, ecco che ieri quello che era stato proibito è deflagrato quanto mai era successo negli anni precedenti. I militanti di Lealtà Azione e Casa Pound si sono dati appuntamento e a centinaia hanno celebrato quello che era stato vietato l'altro giorno. Una disciplinatissima marea umana, ben più di quelli che il 25 aprile erano sui cippi dei partigiani, ha reso omaggio a militi di Salò, ausiliarie della Repubblica sociale italiana, alle donne stuprate e uccise magari per la sola colpa di aver amato un fascista e ai tanti finiti nella mattanza seguita ai giorni della Liberazione.

Tantissime, nemmeno a dirlo, le braccia tese che erano state rigorosamente proibite nelle disposizioni dettate dal neo prefetto Luciana Lamorgese il 25 aprile e lunga la coda per il saluto al ministro della Cultura popolare del Regno d'Italia e segretario del Partito Fascista Repubblicano Alessandro Pavolini, giornalista e scrittore e del leninista e fondatore del Partito comunista Nicola Bombacci che nel Fascismo repubblicano vide la vera rivoluzione dei lavoratori e la realizzazione del socialismo. Così come a Cremona è stato ricordato Farinacci, uomo talmente integro che alla fine fu inviso perfino al Fascismo diventato regime. Difficile proibire tutto questo per legge o con un'ordinanza del prefetto.

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