New York Bernie Sanders ci riprova. Il senatore socialista, che ha sfiorato la nomination alle ultime elezioni presidenziali, scende in campo nell'affollato parterre delle primarie democratiche di Usa 2020 e in meno di quattro ore dall'annuncio ha raccolto un milione di dollari di donazioni. L'anno prossimo il vecchio leone del Vermont avrà 78 anni, ma non si fa intimidire dall'età: «Abbiamo iniziato la rivoluzione politica con la campagna del 2016, e ora è il momento di portare avanti questa rivoluzione», afferma annunciando la sua candidatura. «La nostra campagna non punta solo a sconfiggere Donald Trump - spiega in un'email ai sostenitori - La nostra campagna è per la trasformazione del paese e per la creazione di un governo basato sui principi della giustizia economica, sociale, razziale e ambientale». Il presidente Trump, continua, è un «imbarazzo per gli Stati Uniti», un «bugiardo patologico», un «razzista». Di certo, quella del prossimo anno sarà per lui una campagna elettorale che parte con premesse differenti. Alle ultime elezioni Sanders ha affrontato le primarie da outsider: considerato perdente sin dall'inizio, è riuscito a raccogliere un ampio consenso che gli ha permesso di dare filo da torcere sino all'ultimo a Hillary Clinton. Ora, invece, scende in campo come uno dei contendenti preferiti dagli elettori, al secondo posto nei sondaggi dietro l'ex vice presidente Joe Biden. Tuttavia, Sanders potrebbe rimanere vittima del suo stesso successo, visto che a differenza del 2016 sono diversi i candidati progressisti già in corsa per la nomination dem, a partire dalla senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren. E c'è chi si chiede se la sua candidatura è sostenuta dal partito, se i dem vogliono lui, o soltanto le sue idee. Inoltre, c'è pure l'ostacolo rappresentato dalle accuse di sessismo e discriminazioni salariali durante la campagna del 2016, che potrebbe compromettere il successo tra l'elettorato rosa. Il senatore ha sempre negato di esserne al corrente, e si è scusato.
Intanto, come previsto, sull'altro lato del Potomac, partono le azioni legali contro la dichiarazione del presidente Usa dell'emergenza nazionale al confine con il Messico, per finanziare il muro bypassando il Congresso. Un gruppo di 16 stati guidato dalla California ha fatto causa all'amministrazione Trump affermando che l'inquilino della Casa Bianca ha violato in modo evidente la separazione dei poteri, e usato come pretesto una crisi inventata per dichiarare l'emergenza.
«Per ammissione dello stesso presidente - scrivono - la dichiarazione di emergenza non era necessaria». Lui, come di consueto, risponde su Twitter: «Come avevo previsto 16 città, guidate dai democratici che vogliono confini aperti e dalla sinistra radicale, hanno presentato una causa, e lo hanno fatto ovviamente alla Corte del Nono Circuito».
«La California - continua - che ha sprecato miliardi di dollari nel suo Fast Train, progetto che non ha speranza di essere completato, centinaia di volte più costoso di quel muro di cui abbiamo disperato bisogno, sembra essere quella alla guida» della rivolta.
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