Milano Non erano solo gli affari in Russia a fare gola a Gianluca Savoini (nella foto), l'esponente della Lega indagato per corruzione internazionale dalla Procura di Milano per la tangente promessa a esponenti governativi moscoviti in cambio di sei milioni di tonnellate di greggio (mai arrivate). A venire a galla ieri è un'altra missione dell'alacre collaboratore di Matteo Salvini, sempre in un contesto a metà tra il politico e l'affaristico: stavolta la destinazione era il Marocco, dove nel 2015 il leader leghista va ad incontrare esponenti del governo di re Mohammed e del mondo imprenditoriale.
Accanto a lui, c'era Savoini. Che, secondo un articolo pubblicato ieri dal Fatto quotidiano, propone ai suoi interlocutori marocchini contatti e affari con aziende italiane. Salvo poi (come a Mosca) vedere naufragare l'operazione. Ma in quell'occasione porta a casa un generoso «premio di consolazione», 150mila euro che un emissario del re gli avrebbe versato l'anno dopo a Parigi (e che sarebbero caduti nel water di un bar, ma salvati e ripuliti da Savoini). Ieri Souad Sbai, ex parlamentare del Pdl e poi per un certo periodo vicina a Salvini, rivendica di averne avuto l'idea del viaggio. «Parliamo di quattro anni fa - racconta Sbai all'Adnkronos - e l'idea di portare Salvini in Marocco venne a me dopo che la Nigeria negò il visto a Matteo. Così gli chiesi se gli andava una visita al Marocco». Salvini, racconta, «era felicissimo, mi disse che l'idea era molto interessante. Così mi sono attivata con le le autorità marocchine».
«Una settimana prima del viaggio - aggiunge la Sbai - ricevetti una chiamata
da Savoini, il quale mi disse che era tutto a posto. È stata la prima e ultima volta che ho sentito Savoini. Meglio che io non sia andata in Marocco, mi ha fatto un favore. Chissà se avessi fatto parte della delegazione».
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