Scarcerato il preside del Convitto crollato nel sisma dell'Aquila

Bearzi era stato condannato a quattro anni di reclusione per il disastro in cui morirono tre studenti che risiedevano lì

Scarcerato il preside del Convitto crollato nel sisma dell'Aquila

Udine - Era finito dietro le sbarre del carcere di Udine un mese e mezzo fa, per scontare una condanna che ha mobilitato, in unica catena umana di solidarietà, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo e un'intera comunità scolastica con una sfilza di appelli per chiederne la grazia al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Livio Bearzi, 58 anni, il preside «buono» e «perbene» che la notte più lunga dell'Aquila ha trasformato agli occhi dei giudici della Cassazione nel responsabile della morte di tre studenti sepolti sotto le macerie del convitto Cotugno, di cui lui era dirigente da pochi mesi quando il 6 aprile 2009 la terra ha tremato e ha fatto crollare tutto, ora torna a casa. È uscito ieri dal carcere, ha riferito il suo avvocato Stefano Buonocore, dopo che il magistrato di Sorveglianza gli ha concesso l'affidamento ai servizi sociali in prova in via provvisoria, in attesa dell'udienza del Tribunale di di Trieste in aprile. I giudici nell'ambito del maxiprocesso avviato sulla distruzione causata dal sisma di sei anni e mezzo fa gli contestano la mancata ristrutturazione del vecchio edificio ottocentesco, e l'assenza di un piano per la sicurezza. Spettava a lui come preside e a nessun altro provvedere, e prevedere che un terremoto sarebbe stato fatale per l'immobile. Poco importa alla giustizia che le richieste di interventi di Bearzi alla Provincia fossero finite contro il muro di gomma della burocrazia e nel vortice dei «provvederemo». Così su di lui sono finite le responsabilità di «negligenza e condotte omissive», nonché di «totale inerzia, a fronte di una situazione di evidente rischio per le condizioni in cui versava la palazzina, in presenza dello stillicidio di scosse».Il dirigente friulano, una situazione familiare difficile e tre figli a carico, torna a casa vigilia del Natale. Ma il dolore nel cuore per «i miei ragazzi» che hanno perso la vita è ancora intatto. Lo sarà sempre, come le ferite che il tempo non guarisce. La condanna a quattro anni di reclusione e la pena accessoria di cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per omicidio colposo plurimo e lesioni plurime, la farà sanguinare ancora.

L'ultima a chiedere la grazia per Bearzi era stata la governatrice Debora Serracchiani, perché «i dirigenti scolastici sono obbligati a segnalare rischi e pericolosità ma nei fatti non sono messi nelle reali condizioni di risolvere le mancanze strutturali»

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