L'Italia convince. Vista da fuori è un Paese che ha vantaggi importanti, come la qualità delle risorse umane, la stabilita e anche la solidità delle banche. Ma c'è una zavorra che mantiene lo stivale ai posti bassissimi della competitività, nemici conosciuti, ma poco combattuti. La burocrazia, le tasse, la giustizia lumaca.La buona notizia è che l'attrattività dell'Italia è cresciuta. L'Aibe Index, indice sintetico realizzato dal Censis per l'Associazione italiana delle banche estere, nel 2015 è salito al 47,8 punti rispetto ai 33,2 del 2014. Un incremento di ben 14 punti. Importante perché il campione elaboarto dal Censis con Aibe è un panel di manager di imprese internazionali, investitori istituzionali presenti in Italia, studi legali specializzati in investimenti e giornalisti stranieri. Nel dettaglio, il 72% del campione è convinto che il Paese abbia fatto progressi negli ultimi sei mesi. Merito dell'Expo (59%) e, soprattutto, delle riforme messe in cantiere dal governo (85%), in particolare quella del mercato del Lavoro e quella elettorale. Il Jobs Act strappa un 42% di consensi e il 34% di giudizi negativi o scettici. Meno bene la digitalizzazione. Per il 49% siamo in ritardo e, più in generale, manca una strategia per favorire la competitività. La cattiva notizia è che i tradizionali ostacoli che impediscono all'Italia di competere alla pari con le altre economie avanzate, sono ancora lì. Il 47,8 nell'indice è un miglioramento. Ma è un valore bassissimo se si considera che il massimo dell'indice è 100. In una scala di attrattività che va da uno a dieci, siamo sul 5,72. Dietro a Spagna (5,85), India (5,87), Cina e Francia (6,86). Lontani dalla Germania (7,77), dal Regno unito (7,82) e dagli Stati uniti (8,15). Nessun dubbio su chi è il responsabile per tanti investimenti mancati. Per il 74% del panel servono interventi su norme e burocrazia. Il 61,5% indica il carico fiscale, il 44% la giustizia civile.C'è solo un 2,65 del campione a sostenere che giustizia lenta e burocrazia non sono un problema. Meglio di quelli che non vedono problemi nel fisco italiano: il 5,3%. Secondo gli osservatori e gli investitori esteri interpellati dal Censis e dall'associazione delle banche estere, l'Italia ha un asset importante nella qualità delle risorse umane. Il punteggio è 8,11, da testa di classifica. Poi la solidità del sistema bancario (7,24), dato significativo visto che cade nell'anno delle crisi. Poi la stabilità politica (5,97) e l'azione di governo (5,95). La ricetta per rimettere il Paese nel binario delle economie più avanzate è conosciuta. L'intenzione di attuarla è un'altra cosa. Ieri sono arrivate due notizie. Dopo l'ultimatum di Ryanair, sono allo studio varie ipotesi per la riduzione della tassa sui biglietti. Cioè del balzello che ha fatto mettere la compagnia sulla difensiva, con la chiusura di 16 rotte e 600 licenziamenti annunciati. Norma voluta da altri governi, hanno precisato ieri fonti del governo. Il colpo di immagine per Matteo Renzi, premier portavoce di una generazione cresciuta con le compagnie low cost, sarebbe troppo elevato.Altro ripensamento riguarda la tassa sui licenziamenti, prevista dalla Fornero. Un balzello da 500 fino a quasi 1.500 euro per lavoratore licenziato che non entrerà in vigore come previsto quest'anno.
«Abbiamo rischiato l'effetto domino del settore. Un vero salasso viste le cifre: 30.000 imprese che danno lavoro a 2,5 milioni di persone interessate dal cambio appalti», ha commentato Massimo Stronati, presidente di Federlavoro Confcooperative.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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