Se il Conclave diventa un congresso Dc

Paradossalmente è la Chiesa ora a rifarsi a quel modello reinterpretato dalla politica

Se il Conclave diventa un congresso Dc
00:00 00:00

Teoricamente dovrebbe essere lo Spirito Santo a calare sul Conclave, a pervadere l'animo dei cardinali per suggerire il nome più adatto per salire al soglio pontificio. Ma si sa, quando le decisioni camminano sulle gambe degli uomini non sono poche le manine che ambiscono a guidare la scelta del capo della Chiesa. In quest'occasione poi c'è un tale confronto tra le tante anime del cattolicesimo da ricordare un congresso politico. Non si contano le interviste rilasciate dai porporati in queste settimane. Tutti dai più in vista, ai più restii, ai fuori concorso di fama hanno voluto dire la loro. Dal cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga al cardinal Müller, al cardinale Lojudice, al cardinal Ruini e a tanti altri. Ancora di più sono stati gli interventi dei porporati nelle congregazioni generali che precedono il Conclave. Ne sono stati contati 34, scambi di idee che rimembrano le riunioni di corrente che precedevano i congressi democristiani.

Parlo della Democrazia Cristiana perché è stato il partito più limitrofo alla Curia romana al punto di mutuarne lo stile e per alcuni versi le liturgie, il linguaggio. Solo che paradossalmente è la Chiesa ora a rifarsi a quel modello reinterpretato dalla politica. A parlare di progressisti, di conservatori, di destra e di sinistra. E anche le alchimie con cui vengono descritti i potenziali aspiranti riprendono il lessico del Palazzo: il candidato di parte, il candidato identitario, il candidato di mediazione. «È allucinante, mai vista una cosa del genere - ammette Gianfranco Rotondi, dc mai pentito e custode per decenni del simbolo scudocrociato - sembra un congresso dc. È tutto un parlare, un tifare. Una volta si diceva che era la Chiesa a voler condizionare la politica, ora è vero l'esatto contrario». «A vedere il cardinale Bagnasco a Porta a Porta - ammette un altro democristiano d.o.c. come Pierferdinando Casini - sono rimasto perplesso. Ma non è un congresso dc. È il primo Conclave che si svolge nell'epoca dello strapotere della Rete».

La realtà è che con Francesco tutti hanno riscoperto l'importanza della parola del Papa. La chiesa globale è tornata a essere un punto di riferimento pure nella geopolitica. Le foto di Trump e Zelensky, di Macron e Starmer dentro la basilica di San Pietro sono le immagini di una ritrovata centralità. Al punto che i potenti della terra si interessano come non mai al nuovo pontefice, giocano le proprie carte per avere un amico o, almeno, un non nemico. Così Trump, a cui piacerebbe un conservatore se non dovesse essere lui («vorrei essere Papa», ha ammesso candidamente in una dichiarazione), ha sondato tutti i cardinali americani. Mentre Macron ha invitato a cena i francesi per verificare le chance del porporato di Marsiglia, Aveline. «È assurdo - si indigna Rotondi - è come se Antonio Gava avesse riunito prima del congresso dc i vescovi campani, accompagnati da sacrestani e chierichetti». Sembra di essere tornati al tempo di Filippo il Bello che impose a Clemente V, dopo aver manovrato per favorirne l'elezione, di trasferire il papato ad Avignone.

Meno male che erano altri tempi. Ora Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio si mette a ridere con gli amici quando collegano il suo nome al disegno macroniano. «Per me alla fine - confida - prevarrà un nome di mediazione come Parolin con cui mi do del tu».

Già arriviamo agli italiani e alla gara che contrappone appunto l'attuale segretario di Stato, Parolin, al presidente della Cei, Matteo Zuppi. Nella politica italiana il centrodestra preferirebbe il cardinale Betori per anni braccio destro di Ruini. Ma visto che le chance sono poche c'è chi suggerisce - pure a Palazzo Chigi - di tenersi buono Parolin. Il desiderio neppure tanto nascosto della sinistra, invece, è il cardinale Zuppi. Schlein e Conte stravedono per lui. Corrisposti. Nel Conclave trasformato in congresso è il nome dei progressisti pure tra i porporati. Alla vigilia dei funerali del Papa entrò in Vaticano con una frase che è rimasta impressa nella mente di molti: «È il 25 aprile festa della Liberazione, ricordiamolo». E poi è stato il compagno di liceo di mezza sinistra romana, a cominciare da Goffredo Bettini. «È come se il Pci - ridacchia Rotondi - avesse voluto ai suoi tempi scegliere il Papa. Solo che il derby Parolin-Zuppi rischia di far sfumare l'ipotesi del Pontefice italiano. Gli altri cardinali per reazione si terranno a debita distanza dalla Curia romana».

E forse non sarebbe neppure male visto che Malachia predisse quasi mille anni fa che il 113esimo Papa, cioè il prossimo, dal nome «Pietro il romano», sarebbe stato l'ultimo. Con lui la città dei sette colli sarebbe stata distrutta. Meglio non scherzare con le profezie.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica