"Se è Emanuela uno dei colpevoli è in Vaticano"

Il magistrato indagò a lungo: «Per me fu rapita a scopo sessuale, ma qualcosa andò storto»

"Se è Emanuela uno dei colpevoli è in Vaticano"

Molto mistero ma ancora più fumo. «Secondo me - racconta Otello Lupacchini, magistrato e scrittore di lungo corso - Emanuela Orlandi fu adescata. Probabilmente fu vittima di un sequestro a sfondo sessuale, ma qualcosa andò storto. Un malore, un tentativo di ribellione, un incidente. Chissà. La povera ragazza morì quasi subito, questa è la mia convinzione, e a quel punto cominciò un'altra storia. Anzi, altre storie».

Intrecci che Lupacchini cercò di decifrare come giudice istruttore: «Ho ascoltato almeno trecento persone legate in qualche modo alla banda della Magliana, ho condotto un migliaio di interrogatori, ho avuto fra le mani quattro o cinque pentiti e molti soggetti che volevano accreditarsi con lo Stato, ma non c'è uno, dico uno, che mi abbia aperto uno spiraglio su questa tragedia. Sicuramente le indagini fecero emergere rapporti non proprio edificanti fra eminenti uomini della Chiesa e malavitosi, ma su questi legami sono fiorite leggende macabre assolutamente incredibili».

Compresa la teoria, poi smentita dai fatti, che voleva i resti della Orlandi nello stesso sarcofago che ospitava in Sant'Apollinare le ossa del boss Enrico De Pedis. «La Orlandi - riprende Lupacchini, oggi procuratore generale a Catanzaro - fu vista l'ultima volta da un vigile davanti al Senato, a pochi passi dalla scuola di flauto che frequentava, mentre parlava con il conducente di una Bmw scura station wagon, probabilmente il suo rapitore. Per diversi giorni non successe nulla: poi due persone, che forse si mimetizzavano in un ristorante in mezzo al rumore di stoviglie che venivano lavate, telefonarono allo zio di Emanuela. I due sapevano qualcosa, avevano forse la disponibilità degli effetti personali della ragazza, ma le loro conoscenze erano vaghe, confuse, non avevano nemmeno messo a fuoco chi fosse il loro interlocutore. Lo scambiarono per un prete. Un fatto è certo: quella chiamata portò all'appello per Emanuela da parte di Giovanni Paolo II che mise in moto i servizi segreti, i Lupi grigi e chi più ne ha più ne metta».

Siamo alla seconda fase, quella dei ricatti, dei segnali obliqui e della spy story internazionale. «Poi - aggiunge il giudice - c'è il terzo capitolo, quello che nasce con le deposizioni di Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore Bruno Giordano in seguito amante di De Pedis, e porta dritto alla Magliana. É il filone che anch'io ho incrociato a lungo. Ma confesso che, pur avendo setacciato ovunque, non ho trovato elementi concreti, anzi neppure un indizio». Forse, qualche suggestione che invece ha ipnotizzato una generazione intera di sceneggiatori, registi, scrittori. Tutti sulle tracce della liason fra il Cupolone e le coppole.

«Alla fine - confessa il magistrato - quel che pensavo lo scrissi in un libro, Dodici donne un solo assassino: fra l'83 e il 93 ci fu a Roma una serie impressionante di sparizioni e omicidi di ragazze che presentavano molte analogie e similitudini fra di loro. Il mistero di Emanuela Orlandi per me sta dentro questa cornice di sesso e morte». Anche se il caso, esploso all'ombra di San Pietro ha dato la trama a più di un feuilleton dall'atmosfera neogotica.

E pare strappato da un romanzo d'appendice anche l'ultimo colpo di scena: il ritrovamento di resti umani alla Nunziatura.

«Se quelle ossa sono quelle di Emanuela Orlandi - conclude Lupacchini - allora vuol dire che abbiamo finalmente la certezza che qualcuno in Vaticano è legato alla sparizione della giovane. Certezza che io non ho mai avuto. Ma è presto per azzardare oroscopi».

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