Diabolik allo stadio Olimpico lo conoscevano tutti. Fabrizio Piscitelli, leader storico degli Irriducibili della Lazio, era rispettato dai biancocelesti, temuto dai giallorossi. E ieri, negli ambienti della tifoseria romana, non si parlava d'altro che del suo omicidio. L'uomo, 53 anni, noto a tutti come Diabolik, è stato ucciso alle 18,50 in un regolamento di conti.
Una vera e propria esecuzione nel parco degli Acquedotti, in via Lemonia, all'altezza del civico 273. Il capo ultrà abitava in zona e si era recato lì per incontrare qualcuno. Si era avviato nel parco a piedi ed era seduto su una panchina, con un'altra persona, quando il killer gli ha sparato sorprendendolo alle spalle da distanza ravvicinata con una 7,65. Il proiettile lo ha centrato, trapassandogli la nuca all'altezza dell'orecchio sinistro. Poi il killer e l'uomo che poco prima era con Piscitelli sono fuggiti. A chiamare la polizia è stato un passante. A premere il grilletto sarebbe stato un soggetto vestito da runner, per non dare nell'occhio. Sul posto decine di volanti del commissariato Tuscolano e della squadra mobile, che hanno avviato una massiccia caccia all'uomo per individuare l'assassino. E tanti amici oltre al fratello della vittima e alla sorella Angela. «Io sto qui, aspetto mio fratello - ripeteva sotto choc Angela - Mi hanno chiamato tutti, si sta mobilitando il mondo per mio fratello».
Il caso è passato subito alla Direzione distrettuale antimafia di Roma e il procuratore facente funzioni, Michele Prestipino, ha aperto un fascicolo di indagine a carico di ignoti. Piscitelli non era solo uno dei volti più conosciuti della Curva Nord, ma era noto anche alle forze dell'ordine, perché era stato al centro di diverse vicende giudiziarie legate al tifo biancoceleste e al traffico internazionale di stupefacenti. Il suo nome viene menzionato anche nelle carte dell'inchiesta Mafia Capitale. Nel gennaio 2015 era stato condannato, assieme ad altri tre capi ultrà, per il tentativo di scalata alla Lazio che nel 2006 aveva coinvolto anche l'ex bomber Giorgio Chinaglia. Secondo la ricostruzione dei pm gli imputati avevano compiuto una «campagna» intimidatoria sul presidente Claudio Lotito per fargli cedere il club a un gruppo farmaceutico ungherese interessato all'acquisto e di cui Chinaglia sarebbe stato il portavoce.
Nel 2016, invece, la vittima aveva subito il sequestro di oltre 2 milioni di euro, compresa una villa a Grottaferrata (provvedimento poi annullato dalla Cassazione) dopo le indagini della Dda che lo vedevano coinvolto in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti provenienti dalla Spagna. Gli inquirenti che indagavano all'epoca sulla vicenda, lo ritenevano un soggetto «pericoloso» da oltre 25 anni, «vissuto costantemente all'insegna della prepotenza e della sopraffazione sul prossimo, indifferente ai numerosi provvedimenti di polizia adottati nei suoi confronti». La sua latitanza, allora, era stata «tradita» da una pizza ordinata per assistere al match di Europa League della Lazio.
Nel suo curriculum vitae, poi, denunce allo stadio, resistenze a pubblico ufficiale, giri di scommesse clandestine, ingiurie, lesioni. A maggio, quando una bomba aveva divelto la serranda della sede degli Irriducibili in via Amulio, storicamente di estrema destra, aveva parlato di movente politico. «Se vogliono tornare al terrorismo degli anni '70, noi siamo pronti. Anzi, io non vedo l'ora», aveva detto. E quello potrebbe essere stato un avvertimento, anche se gli investigatori indagano a 360 gradi.
«Sulle cause della sua morte non posso parlare - ha commentato Gabriele Paparelli, figlio di Vincenzo, il tifoso morto all'Olimpico nel 1979 dopo essere stato colpito da un razzo - ma come amico, e per quanto ha sempre fatto per la mia famiglia, mi sento di esprimere la mia vicinanza ai suoi familiari in questo drammatico momento».
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