La salute costa troppo e milioni di italiani rinunciano alle cure. Ma è guerra di cifre tra Censis e Istat. Mentre gli ultimi dati resi noti ieri dall'Istituto di Statistica indicano che circa sei milioni di cittadini non hanno avuto accesso alle prestazioni sanitarie per motivi economici o per liste d'attesa ingolfate, nel giugno scorso il Centro studi stimava che fossero 12 i milioni di italiani che avevano rinunciato a curarsi. Entrambe le rilevazioni comunque dipingono una situazione allarmante. Ieri il presidente dell'Istat, Maurizio Franzini, in audizione in Commissione Bilancio ha spiegato che sono «4 milioni gli italiani che rinunciano alle cure per motivi economici mentre 2 milioni rinunciano per problemi legati alle liste d'attesa». Le difficoltà economiche e l'ostacolo rappresentato da appuntamenti fissati anche a distanza di un anno inducono i pazienti a rinunciare soprattutto nella fascia di età più alta tra i 45 ed i 64 anni. I pazienti scelgono più frequentemente di rinunciare alle visite specialistiche preferendo invece effettuare gli accertamenti diagnostici. Franzini ha precisato che «rilevante è l'intreccio tra rinuncia e condizioni economiche» e che anche in questo settore c'è un'Italia divisa: la distribuzione territoriale è «disomogenea, con una maggiore incidenza nelle isole». I tempi di attesa per le prestazioni del servizio sanitario nazionale nel corso degli anni sono sempre aumentati e nessun governo è riuscito ad imporre un'inversione di tendenza. Impossibile ridurre i tempi d'altra parte se diminuiscono i fondi, le strutture sanitarie ed il personale medico. L'attesa però varia da regione a regione e anche tra presidi ospedalieri. Uno studio relativamente recente di Crea per Cgil aveva monitorato le prestazioni mediche effettuate, dal 2014 al 2017, su oltre 26 milioni di utenti residenti in 4 regioni: Lombardia, Veneto, Lazio e Campania. Nel 2017 i tempi medi di attesa per effettuare una visita medica nelle strutture pubbliche arrivavano a 65 giorni contro i 6 dell'intramoenia, i 7 del privato ed i 32 del privato convenzionato. Per una lastra venti giorni nel pubblico ma soltanto 4 in intramoenia. Tempi biblici per la colonscopia a carico del servizio sanitario nazionale: addirittura 96,2 contro i 6 del privato. Un'attesa che può fare la differenza tra la vita e la morte. Non va meglio per le visite oculistiche che sono passate dai 61 giorni di attesa del 2014 ad 88 nel 2017. A pagamento nel privato ne bastano 6 e con l'intramoenia 7. E la proporzione tra privato, privato convenzionato e pubblico è simile per tutte le prestazioni.
Il ministro della Salute, Giulia Grillo promette di impegnarsi per abbattere le liste d'attesa. Lo fa per il momento con un post su Facebook . «La rinuncia alle cure è il risultato più tangibile di una politica che si è dimenticata della parte più povera del Paese. -scrive la Grillo- Per questo mi sono subito impegnata sulla riduzione delle liste d'attesa con 50 milioni l'anno già in legge di bilancio e sulla rimodulazione del ticket».
Per cancellare il ticket la Grillo promette di trovare «i fondi, anche fuori dalla legge di bilancio». Se le spese per la salute non scendono si rischia di vanificare gli altri provvedimenti. Inutile dare il reddito di cittadinanza se poi devi spendere tutti i soldi in medicine.
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