Politica

Dal seminario alle 32 stelle Addio allo chef Robuchon

Pioniere della cucina in tv, mise fine al minimalismo della nouvelle cusine e tirò un piatto a Gordon Ramsay

Valeria Braghieri

Era lo chef «del secolo» e, con le sue trentadue stelle Michelin, il più stellato al mondo. Quello che ci aveva liberati dal triste, desolante giogo della nouvelle cuisine, quello che al centro del piatto aveva risistemato la tradizione in porzioni accettabili, quello che difendeva la semplicità tanto da far assurgere a suo cavallo di battaglia, un «mitico», imitatissimo purée di patate. Era il pioniere della cucina in tv, lo chef della clonazione (aveva riprodotto la formula dei suoi ristoranti un po' ovunque ai quattro angoli del pianeta: da Parigi a Tokyo, da Las Vegas a Hong Kong e a Londra...); era l'uomo che aveva abolito i tavoli e sistemato gli ospiti al bancone uno accanto all'altro, per passarsi chiacchiere ed emozioni, proprio difronte alla cucina, per sciogliere ogni sospetto su cibo, cuochi e padelle. Nato a Poitiers, il 7 aprile 1945, figlio di un minatore, avrebbe dovuto diventare prete e infatti iniziò gli studi da seminarista nel piccolo seminario di Maulèon. Invece... Tutta un'altra vita quella per lui, quella per Joel Robuchon che si è conclusa ieri in Svizzera, all'età di 73 anni, dopo un tumore al pancreas che lo ha consumato nell'arco di poco più di un anno.

Famoso Robuchon. Famosissimo per tante cose, più una. Oltre al resto, infatti, Joel è stato un po' il Sami Frey dei fornelli: lui fu l'unico a tirare un piatto in faccia all'iracondo, scostantissimo Gordon Ramsey, l'attore francese fu il solo ad assestare un ceffone all'indomita, capricciosissima Brigitte Bardot. Ramsay lavorava per Robuchon, allora, e preparò dei ravioli agli scampi che lasciavano a desiderare. Ma fu «l'arroganza» del collega scozzese a mandare in bestia il mite Robuchon. Collega che oggi parla dell'esperienza col maestro in tono reverenziale. E dire che tutto, per Robuchon, ebbe inizio in seminario, dando una mano alle suore in cucina. Aveva dodici anni e quella spartana, casuale iniziazione, vide nascere un genio. Un pioniere del gusto e dello stile. La critica francese fu stregata fin dai primi passi del giovane Robuchon, dalla sua cucina ricca e centrata: gelatina di caviale con crema al cavolfiore, animella di vitello tartufata con asparagi, petto di piccione farcito di foie gras e avvolto da una foglia di verza... La Francia rimase subito incantata dalla sua filosofia disarmante secondo la quale «per offrire una cena memorabile devi solo renderla semplice; ma renderla semplice è la parte difficile». E a lui sembrava che tutto venisse facile, un'ascesa veloce e naturale: dopo aver compreso la sua passione per la cucina, a 15 anni Joel lascia gli studi religiosi e si ricicla aiuto pasticciere. Poi via, da un ristorante all'altro, a 29 anni è già chef e responsabile di un team di novanta persone al Concorde Lafayette di Parigi. A 30 il primo trofeo, quello di «Miglior artigiano di Francia». Poi passa al Nikko dove si ottiene le prime due stelle Michelin. Nel 1981 riesce ad aprire il suo primo locale, Le Jamin al XVI° arrondissement, dove stavolta ottiene la sua prima tripla stella e nel '90 conquista il titolo di «cuoco del secolo» dalla guida Gault & Millau. Proprio come si era prefissato, a cinquant'anni appende la toque blanche al chiodo e si dedica ai suoi programmi televisisvi e alla stesura dei suoi libri di ricette: cose semplici, adatte a tutti Bon appétit bien sur. Avrebbe dovuto essere una morbida, pianificata fine, invece è solo un inizio. Un altro. Dall'esperienza televisiva e dai frequenti viaggi, Robuchon dà vita a un nuovo concetto di ristorante che coniuga «gastronomia, convivialità e dinamismo giovanile». Lascia così un impero gastronomico, un pezzo di storia della cucina che porta il suo nome e, in tutto il mondo, milioni di golosi orfani dei suoi sapori.

È ieri che Robuchon ha appeso la toque blanche al chiodo.

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