Senato addio, l'ok arriva grazie a Verdini e Tosi

Il ddl passa con 180 sì, ma la maggioranza si ferma a 159 voti: non è autosufficiente

Laura CesarettiRoma Con 180 sì e 112 no il Senato ieri sera ha definitivamente licenziato la propria auto-riforma. Ci sarà ancora un voto alla Camera, poi la parola passerà ai cittadini nel referendum confermativo. A sorpresa è stato lo stesso Matteo Renzi a presentarsi nel tardo pomeriggio a Palazzo Madama per chiedere l'ultimo voto dei senatori, togliendo la scena al ministro Maria Elena Boschi: «Esordii qui con una provocazione: Voglio essere l'ultimo premier che chiede la fiducia a quest'aula, dissi in Senato. Due anni dopo, quella provocazione può diventare realtà». Nello scrutinio finale era richiesta la maggioranza assoluta di 161, e alla fine sono stati i 18 voti del gruppo di Denis Verdini (con cui il premier ha avuto un lungo colloquio, prima di rientrare a Palazzo Chigi), e i tre dei senatori ex leghisti che fanno capo a Flavio Tosi a garantire alla maggioranza, ferma a 159 voti, di superare di slancio il quorum.La campagna elettorale del premier per il referendum di ottobre è già iniziata, e Renzi vuol mettere subito la propria faccia sulla «madre di tutte le riforme». Un referendum che sarà determinante per le sorti del governo: «Ripeto: se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza». Per poi chiosare, rivolto alle opposizioni che applaudivano ironicamente: «Sarà affascinante vedere le stesse facce gaudenti di adesso quando, il giorno dopo il referendum sulla riforma, avremo dimostrato da che parte sta l'Italia: questa è l'Italia che sta ripartendo». In quella che definisce «una giornata storica», Renzi tra un vertice con Bankitalia e un Consiglio dei ministri va a Palazzo Madama per esprimere ai senatori la «gratitudine istituzionale che il paese vi deve» di fronte alla riforma che cancella il bicameralismo e il ruolo attuale del Senato. Ringrazia la Boschi «per la straordinaria tenacia e determinazione che ha mostrato», Giorgio Napolitano (con il quale poi si apparta a discutere per alcuni minuti) senza il quale «non ci sarebbe questa riforma e non sarebbe in piedi questa legislatura», i capigruppo tutti, compresi «quelli che per motivi politici hanno dovuto cambiare idea», e il riferimento trasparente è a Forza Italia, che ha sostenuto la riforma fino alla rottura del patto del Nazareno.

Gli replica Paolo Romani, presidente dei senatori Fi: «Avevamo dato la disponibilità per questo grande progetto, ma quel progetto si è rivelato un piccolo disegno di potere funzionale solo al Pd. Peccato finisca così quella che poteva essere l'occasione storica per cambiare l'Italia».

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