Uno strano destino appaia Giuseppe Conte a Theresa May: entrambi esclusi dalle trattative ad alto livello sulle nomine Ue, entrambi marginali e isolati a Bruxelles. Per May è comprensibile: la premier britannica è dimissionaria, e il Regno Unito con un piede fuori dalla Ue. A Conte, invece, avere un qualche ruolo in Europa piacerebbe assai, ma il suo governo è riuscito a rendere l'Italia un inaffidabile sorvegliato speciale. Preceduto dalla famosa lettera con cui avrebbe dovuto rispondere alla Commissione sulla procedura di infrazione (e che ha lasciato invece di stucco i destinatari, anche perché il governo non è stato neppure in grado di tradurla dal burocratese italico in inglese, come si fa di norma), il premier è arrivato ieri buon ultimo al vertice di Bruxelles, dove si gioca il grande Risiko della nuova legislatura.
Gli altri capi di Stato e di governo erano lì fin dal mattino, impegnati in riunioni informali e conciliaboli: Macron e Merkel, Sanchez e Rutte, croati e lettoni, tutti protagonisti di una trattativa che segnerà il futuro dell'Unione. Tutti tranne l'Italia: Conte sbarca solo nel pomeriggio, quando il summit ufficiale sta per iniziare. Tanto che il suo staff si affanna a far sapere che anche lui ha avuto incontri di alto livello: «scambi di battute», in alcuni casi «fitti», con Tusk e Juncker, Tsipras e Merkel, assicurano i comunicatori di Palazzo Chigi. Insomma, arrivato al vertice Conte è stato salutato cortesemente dai colleghi, e ci mancherebbe altro.
Ma i problemi del governo italiano sono tutt'altro che risolti: mentre i traduttori ufficiali sudano sette camicie nel disperato tentativo di dare un senso compiuto in inglese alla farraginosa prosa da azzeccagarbugli della lettera italiana, il francese Moscovici, commissario per gli Affari economici tutt'ora in carica, liquida bruscamente il goffo tentativo del governo di buttarla in caciara: «Prenderemo anche in considerazione la risposta di Conte, ma in questo momento una procedura per debito è giustificata», scandisce. Quindi occorre «lavorare, in maniera costruttiva, per evitarla». E «non lo si fa attraverso scambi o commenti sulle regole: lo si fa nel rispetto delle regole, che sono intelligenti e funzionali alla crescita».
La replica filtra da Chigi: «Non ci sono regole intelligenti, vanno sempre interpretate». La Ue, però, non vuole chiacchiere avvocatesche e alibi fumosi sul «surplus tedesco» ma impegni concreti e vincolanti. Mentre Conte ha le mani legate dai suoi vice, e non è riuscito a farsi dare alcun mandato pieno per la trattativa con la Ue. Tanto che il solito Casalino si preoccupa di far togliere dai reportage da Bruxelles ogni riferimento a «manovre correttive»: i conti italiani «sono migliori del previsto», giura Conte, e quindi non c'è alcun bisogno di correggerli: «Potremo certificare che siamo intorno al 2,1% e non al 2,5% come prevede la Commissione». Il premier nega ogni tensione tra lui e i vice: sono «ricostruzioni fantasiose» dei giornali, «mai avuto contrasti con Salvini e Di Maio». Nella lettera, assicura, «sono stato molto chiaro»: nel patto Ue c'è «molta stabilità e poca crescita», quindi va cambiato.
Peccato che i dati Istat non confermino l'entusiasmo sui conti del premier, e che il potere contrattuale dell'Italia sia molto scarso: il negoziato sui commissari si aprirà solo quando saranno stati decisi i top job della Ue, a cominciare dal presidente della Commissione.
Ma il «commissario di peso» tante volte evocato sarà difficile da ottenere (si parla al massimo del dossier Industria) e il necessario voto unanime arriverà solo su un candidato che risulti credibile agli occhi dell'Europarlamento.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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