"Serve un piano di espulsioni serio"

Il parlamentare e magistrato: "Inspiegabile che fosse ancora in Italia"

"Serve un piano di espulsioni serio"

Roma - Se tento di commettere un reato grave basta che venga fermato in tempo per cancellare pericolo di fuga, esigenze di sicurezza, rischio che ci riprovi? Alfredo Mantovano, lei che è magistrato, oltre che ex sottosegretario all'Interno, riesce a spiegarci come sia possibile?

«Faccio una premessa: le mie fonti sono esclusivamente di stampa, non ho davanti le carte, dunque sarebbe scorretto fare un giudizio parallelo».

Giusto, e del resto non si vuole giudicare qui se Ram Lubhaya sia colpevole o innocente, ma capire se è normale che sia a piede libero. Basiamoci sui fatti per come sono stati presentati.

«Tra i fatti concordemente riportati da varie testate, c'è la circostanza che quell'uomo abbia preso in braccio la bambina e che si sia dato alla fuga. Le contestazioni mosse sono tentato sequestro di persona e tentata sottrazione di minore, quindi il sostituto procuratore non ha escluso la responsabilità altrimenti avrebbe chiesto l'archiviazione. Questi dati sono difficilmente confutabili».

E allora? Il reato è stato considerato non grave?

«Mica è il furto di una mela. È un reato gravissimo».

Dunque ci sarebbero gli estremi per il fermo?

«Non per il fermo ma per l'arresto facoltativo in flagranza. Si applica per reati punibili con oltre tre anni di carcere. L'articolo 605 del codice penale prevede per il sequestro di un minore di 14 anni da 3 a 15 anni di reclusione. Il fatto che il reato sia tentato diminuisce la pena di almeno un terzo, quindi da 2 a 10 anni. Siamo comunque sempre all'interno dei limiti richiesti».

E ci sono altre circostanze che possono pesare?

«È una persona senza fissa dimora e per rintracciarlo non ci sono certo voluti cinque minuti. Tutte circostanze che non escludono il rischio di fuga».

A proposito, ma perché lasciarlo andare e poi ricercarlo per interrogarlo, dopo che il fatto è finito sui giornali?

«Preferisco restare al dato formale, a quello che risulta con certezza. E stando a questi elementi in questa storia non ci sono solo anomalie sul versante giudiziario».

Che intende?

«Qualunque persona di buon senso si chiede come sia possibile che una persona che si trova irregolarmente in Italia e che in più commette reati, come mostrano i precedenti per droga, non venga espulso».

Ha una spiegazione?

«Non riesco a spiegarmelo, ma è evidente che qualcosa non funziona. Si fanno, giustamente le espulsioni di sospetti terroristi, ma quelle ordinarie no. Basta guardare i dati pubblicati sul sito del Viminale: sappiamo ogni dettaglio su quante persone vivono, quante chiedono asilo, quante domande vengono accolte o respinte. Ma su quanti vengano realmente espulsi, non solo consegnando loro un foglietto con un gentile invito, non sappiamo nulla. E in questo caso parliamo di una persona che verrebbe rispedita non in Libia o in Siria, ma nella pacifica India».

Dietro la retorica dell'accoglienza, il nulla?

«Se è giusto rispettare le regole che prevedono di

accogliere chi ha diritto, altrettanto deve valere per quelle che prevedono di rispedire indietro chi non ha diritto. Invece così facciamo passare per inaffidabili tante persone che lavorano, e tanto, nelle Prefetture e Questure».

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