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La sfida del debito da ricollocare

La sfida del debito da ricollocare

Ciò che più preoccupa di questa legge di bilancio è il fatto che il deficit sfora il 2% generando una massa nuova di debito pubblico da collocare sul mercato di 36 miliardi, con grossi problemi perché nel 1919 la Banca Centrale Europea, la Bce, smette il Qe, il nuovo acquisto di debito pubblico in cambio di euro e si limita al riacquisto di titoli per compensare quelli che scadono, nel suo portafoglio. Il debito italiano a medio e lungo termine in scadenza nel 2019 è di 220 miliardi circa, un po' meno dei 225 del 2018, un anno in apparenza più agevole dei tre precedenti, in cui il debito in scadenza era oscillato fra i 250 miliardi del 2015 e i 270 del 2017. Ma nel triennio 2015-17 la Bce aveva comperato quasi la metà del nostro debito in scadenza, mentre nel 2018 ne ha comprato il 25%. Perché è l'ultimo anno del Qe. È ovvio che se si riducono i titoli già in circolazione le nuove emissioni si collocano più facilmente. Il problema è che nel 2019 il Qe non c'è più: e la Bce si limita a sostituirei titoli che le scadono. Così 2019 la Bce compra solo il 9% dei nostri titoli pubblici di rinnovo. Sicché mentre il mercato nel 2018 ne ha assorbiti 225 meno il 24% ossia meno 54 cioè 171, nel 2019 ne deve assorbire 220 meno il 9% cioè 19,8 ossia 200. Vale a dire, che il Tesoro nel 2019 deve collocare 30 miliardi in più di titoli di rinnovo, ossia il 18% in più che nel 2018. Supposto che il Pil cresca dello 1% in termini reali e il 2,5 in termini monetari (con un tasso di inflazione dello 15%) la percentuale della crescita, in rapporto al maggior Pil, dei titoli da rinnovare diminuisce al 18 meno il 2,5% di 18 ossia circa il 17,5%. Considerando la domanda estera, che si giova di una maggior crescita, il rapporto col Pil della domanda globale di titoli scende di un altro po': comunque l'aumento di offerta del nostro debito sulla domanda è notevole. Potrebbe essere assorbito agevolmente, data la dimensione del mercato finanziario globale, ove gli acquirenti dell'euro zona e delle altre aree monetarie, in particolare del dollaro, percepissero una riduzione del rischio dell'Italia. Ciò, ovviamente, richiede che il rapporto del debito italiano al Pil che è al 132% scenda nel triennio della legge di bilancio, in misura sostanziale, come accadrebbe se anziché un deficit del 2% noi avessimo nel 2019 un deficit dello 1,8% (3,6 miliardi in meno) nei due anni seguenti di un altro 0,2 annuo, arrivando allo 1,4 con 12 miliardi in meno che nella nostra legge di bilancio. La prova del fuoco la avremo già nel primo trimestre, in cui a gennaio vengono a scadenza ben 25 miliardi di debito a medio e lungo termine, a febbraio altri 19 e a marzo 21, in totale 65 miliardi, il 30% del debito in scadenza nel 2019 mentre le entrate non si giovano della prima rata dell'Irpef che affluisce nel II trimestre, in cui il debito a scadenza sarà sui 50 miliardi, il 22% del totale del 2019. Per fortuna, nel primo trimestre non premeranno sulle casse dello stato né il reddito di cittadinanza, né Quota 100. Una navigazione difficile, però, perché il tasso di interesse salirà, a causa della fine del Qe e dell'aumento dei tassi della Fed degli Usa.

Sarebbe tempo di produrre e investire, non di redistribuire, cosa che il premier Conte, incautamente, ha rivendicato come un vanto.

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