Il silenzio dei leghisti allineati al capo

Il mantra dei dirigenti: ottenuto di più col M5s che con il Cav

Il silenzio dei leghisti allineati al capo

Milano - «Non c'è alternativa». È il mantra che tutti i dirigenti leghisti ripetono se gli si chiede dell'alleanza con i Cinque stelle. Una convivenza che arrivano anche a riconoscere come faticosa e piena di ostacoli per via delle differenze che li separano su molteplici temi economia, giustizia, fisco, grandi opere -, ma per i leghisti, al momento, sembra l'unica strada percorribile. Il ritorno al vecchio asse con Berlusconi, a livello nazionale, viene bocciato da tutti come un salto nel passato non più riproponibile. Se il patto di governo con i grillini non è il massimo, il ritorno sulla via di Arcore per loro è anche peggio. È la linea di Salvini, su cui il partito è allineato militarmente, anche perché il segretario ha portato la Lega a superare il 30%, primo partito nazionale, difficile per chiunque lì dentro obiettare sulla validità della strategia del capo. Anche a costo di dover ingoiare bocconi amari, come il colpo di spugna sull'emendamento al ddl Anticorruzione che avrebbe semplificato i processi per peculato di alcuni attuali parlamentari leghisti, la melina dei Cinque stelle sull'autonomia di Lombardia e Veneto («Se salta l'autonomia? Deve saltare il governo» dice il governatore leghista Attilio Fontana), o la farsa dell'analisi costi-benefici chiesta da Toninelli per congelare la Tav. E altri fronti aperti.

Difficoltà che non bastano certo a convincere la Lega che sia il momento di far cadere l'asse col M5s: «Ora si resta con i Cinque stelle, Salvini non ha voglia di tornare a discutere con Brunetta, Carfagna e Gelmini - commenta una fonte parlamentare leghista - Matteo preferisce essere di parola, intanto aumenta i voti. E sul territorio fa il doppio forno. In più, non accetterebbe mai una maggioranza alternativa e pasticciata. Dopo questo governo, elezioni. E a quel punto si vedranno alleanze e rapporti di forza». Scindere i due piani, quello dei comuni e regioni amministrati col centrodestra, e quello nazionale dove l'impegno preso da Salvini è realizzare in cinque anni il contratto con i Cinque stelle, è un altro punto fermo del partito. Lo ripete il viceministro leghista Edoardo Rixi: «I risultati danno ragione a Salvini, credo che oggi a livello governativo riusciamo a dare risposte che non sempre col centrodestra siamo riusciti a dare. A livello territoriale abbiamo la possibilità di fare un'alleanza differenziata». Quanto ai richiami del leader di Forza Italia a mollare i grillini, il leghista ribadisce il no netto leghista: «Riteniamo che il governo debba essere saldo e debba esserci continuità a livello governativo perché il momento è delicato per il paese e qualsiasi elemento di instabilità problemi anche seri sui mercati. Creare ipotesi destabilizzanti per il governo rischia di fare un danno all'economia italiana. Sarebbe da irresponsabili». Semmai la preoccupazione di Salvini è che i grillini si indeboliscano troppo e che questo crei tensioni al loro interno.

Perciò, specie in vista delle europee, l'invito che il leader rivolge i suoi ad ogni riunione è di non alimentare tensioni con gli alleati M5s, perché «Di Maio è uno onesto, un po' alla volta portiamo a casa tutto». Nessuna nostalgia del centrodestra.

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