La sinistra cala l'asso per coinvolgere Salvini «È il mandante morale»

Boldrini e Saviano: «È lui il responsabile» Il leghista: «L'invasione porta allo scontro»

La sinistra cala l'asso per coinvolgere Salvini «È il mandante morale»

Il mandante della sparatoria di Macerata per la sinistra ha un nome e cognome preciso: Matteo Salvini. In una campagna elettorale in salita per il partito dell'accoglienza pro-immigrazione, quelli di Liberi e uguali colgono al volo l'occasione per prendersi un po' la scena accusando il leader della Lega di fomentare la violenza razziale in Italia. Più animata che mai Laura Boldrini, che non vedeva l'ora di vendicarsi con i leghisti dopo essere stata presa di mira da loro: «Quanto accaduto a Macerata dimostra che incitare all'odio e sdoganare il fascismo come fa Salvini ha delle conseguenze - reclama la presidente uscente della Camera e candidata di Leu -: può provocare azioni violente e trasforma le nostre città in un far west seminando panico tra i cittadini. Basta odio, Salvini chieda scusa per tutto quello che sta accadendo». La linea è ribadita dal leader Pietro Grasso, che si dice «attonito e inorridito», prima di individuare in Salvini addirittura il responsabile di questa «spirale di odio e di violenza che dobbiamo fermare al più presto», prima che si instauri un nuovo regime fascista, teme Grasso, poiché «il nostro Paese ha già conosciuto il fascismo e le sue leggi razziali. Non possiamo più voltarci dall'altra parte, non possiamo più minimizzare».

Non poteva mancare Roberto Saviano, che però non brilla per originalità visto che la diagnosi è quella condivisa a sinistra. Il giornalista però è ancora più diretto nell'accusa al leader della Lega: «Il mandante morale dei fatti di Macerata è Matteo Salvini. Lui e le sue parole sconsiderate sono oramai un pericolo mortale per la tenuta democratica. Chi oggi, soprattutto ai massimi livelli istituzionali, non se ne rende conto, sta ipotecando il nostro futuro». Non che il Pd si astenga dal tiro a freccette su Salvini, l'opportunità a quattro settimane dal voto è troppo ghiotta per non sfruttarla. Siccome anche la sede del Pd a Macerata è stata colpita dagli spari, Deborah Serracchiani pretende che «chi come Salvini e Fedriga fa l'occhiolino agli estremisti prenda immediatamente le distanze». Anche il ministro della Salute e leader di Civica popolare, Beatrice Lorenzin, pur non facendo nomi lancia l'accusa: «L'odio chiama l'odio. Non ci sono se o ma davanti a criminali e folli. L'istigazione alla violenza non ha mai portato bene nel nostro paese». Pure i Cinque Stelle, nell'anima più di sinistra rappresentata da Roberto Fico, danno la responsabilità a Salvini, «la democrazia prevede accoglienza e dialogo a oltranza. L'unica forma di Paese che riconosco è un Paese non violento e contro ogni idea che inciti al razzismo o alla violenza», dice il deputato grillino.

Il segretario della Lega non risponde al «chiacchierone Saviano», ma sulla sparatoria di Macerata twitta che «la violenza non è mai la soluzione, la violenza è sempre da condannare. E chi sbaglia, deve pagare. L'immigrazione fuori controllo porta al caos, alla rabbia, allo scontro sociale. L'immigrazione fuori controllo porta spaccio di droga, furti, rapine e violenza». Insomma il mandante morale non è lui, ma sono «quelli che hanno riempito l'Italia trasformandola in un enorme campo profughi, hanno la responsabilità morale di qualunque episodio di violenza accada in Italia. La reazione deve essere democratica, pacifica, di governo e non di violenza. Chi ha fatto sbarcare centinaia di migliaia di finti profughi e troppo spesso veri delinquenti, ha sulla coscienza tanti troppi delitti» dice il segretario leghista. Dentro il suo partito però non tutti la leggono così. L'area che guarda a Maroni rinfaccia al segretario di aver aperto le porte della Lega a personaggi ambigui per perseguire il progetto nazionale.

È proprio il governatore lombardo a innescare la miccia, scrivendo che il «criminale fascistoide» di Macerata «non c'entra nulla con la gloriosa storia della nostra grande Lega Nord». È il pensiero comune a tutta la minoranza leghista che non condivide la linea del segretario.

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