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Sinistra in ordine sparso. L'unica crociata comune è accaparrarsi le poltrone

Dal Pd al Terzo polo passando per i grillini: è caccia ai posti che spettano all'opposizione

Sinistra in ordine sparso. L'unica crociata comune è accaparrarsi le poltrone

Dopo aver passato il primo giorno della legislatura a scambiarsi accuse al veleno sull'aiutino arrivato al Senato per eleggere Ignazio La Russa, nel secondo giorno l'opposizione si divide nel giudizio sul neo-presidente della Camera, il salviniano Lorenzo Fontana.

Ognuno va per conto suo: il Pd propone come nome di bandiera Cecilia Guerra (esponente della sinistra, utile a tenere i voti di Speranza e rosso-verdi), il Terzo Polo va su Matteo Richetti (che incasserà anche tre voti dal Pd), i Cinque Stelle si buttano sul pm Cafiero De Raho, neo-peone alla Camera. Nessuno fa neppure finta di cercare un'intesa con gli altri: «Mi ha chiamato la Serracchiani e mi ha detto: noi votiamo Guerra, e voi? Gli ho risposto: mi fa piacere, noi votiamo Richetti», racconta il medesimo Richetti.

Ma se Enrico Letta e Carlo Calenda sono durissimi sul filo-putinismo di Fontana, a Conte e ai Cinque Stelle quell'aspetto del neo-presidente non dispiace per nulla, anzi. Così, se il segretario dem parla di «sfregio» all'Italia (e cura la regia del blitz d'aula con srotolamento dello striscione contro il «presidente omofobo e pro-Putin») e Calenda nota che «in nessuna democrazia liberale» uno coi trascorsi di Fontana potrebbe presiedere un ramo del Parlamento, Giuseppe Conte se ne sta zitto.

Ma intanto, dietro le quinte, il leader Cinque Stelle riallaccia il dialogo con i dem su un tema che gli sta a cuore: i posti. Sono almeno otto le postazioni istituzionali di rilievo che spettano alle opposizioni, e Pd e 5S puntano a fare il pieno, unendo le forze: quattro vice-presidenze tra Camera e Senato, due questori, due commissioni di garanzia di alto profilo (Vigilanza Rai, cui puntano i 5S, e Copasir per il Pd).

Il fuoco di sbarramento alzato giovedì da Pd e M5s contro Matteo Renzi, additato come «colpevole» nel caso La Russa («Si è accordato con la maggioranza per ottenere i loro voti per una vicepresidenza»), serviva anche a preparare il terreno per tagliar fuori il Terzo polo dal Grande Gioco delle poltrone. Anche perché, spiega uno che di procedure parlamentari se ne intende, come il renziano Roberto Giachetti, «per assicurarsi un vice-presidente serve un'intesa di ferro tra i gruppi maggiori di opposizione, e non i voti della maggioranza, che già deve eleggere i suoi». I dem si sono fatti trovare impreparati, giovedì in Senato: il braccio destro di Letta al Senato, Marco Meloni, convinto che Fi avrebbe votato scheda bianca, non ha puntato su un candidato di bandiera. E ognuno è andato per conto suo.

Letta vuol raggiungere l'intesa con M5s su un paio di nomi suoi: alla Camera il suo fedelissimo Alessandro Zan (titolare del ddl anti-omofobia, nonchè reggitore dello striscione anti-Fontana aperto in aula), al Senato una donna: Valeria Valente o in subordine, per tener buona la sinistra, la orlandiana Rossomando. «Abbiamo proposto al Pd il nome di Casini al Senato, ci hanno detto no», raccontano da Iv. «Zan è un simbolico contraltare a Fontana», spiegano al Nazareno. Soprattutto è un nome che taglia le gambe agli aspiranti di altre correnti - da Serracchiani a Orlando - che non possono contrastarlo apertamente: «In quanto gay è un simbolo, quindi extra-quota: risolve i problemi interni, ma è un grave errore trasformare le istituzioni in un campo di battaglia ideologico», accusa una esponente dem. Zan si dice pronto: «Sono a disposizione», e fa anche sapere che - nonostante lo striscione - «ho applaudito alcuni passaggi dell'intervento di Fontana».

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