Le navi americane si avvicinano minacciosamente alla Siria, Donald Trump fedele al suo stile ambivalente mette in guardia la Russia abbaiando («arrivano i nostri missili e sono intelligenti, attenzione!») e poco dopo addossa ai suoi persecutori del Russiagate, procuratore Mueller in testa, la responsabilità della caduta «ai livelli più bassi dalla guerra fredda» dei rapporti con Mosca, concludendo il suo tweet con un invito ai russi a superare i contrasti e a lasciarsi aiutare dagli Stati Uniti a risollevare la loro economia.
Vladimir Putin sceglie di rispondere posando da saggio statista («Speriamo che il buonsenso finirà per prevalere») mentre scalda i motori dei jet per la difesa del regime del suo strategico alleato Assad, quello che Trump ha definito «un animale». Intanto «l'animale» scappa a gambe levate da Damasco, sembra inguattato in un convoglio militare russo come da logico copione (e secondo altrettanto logico copione i russi smentiscono). Assad ha il comprensibile timore che i «missili intelligenti» di Trump gli possano far fare la fine di uno Zarkawi qualsiasi, e come lui tagliano prudentemente la corda da basi militari e ministeri i pezzi grossi dell'esercito e del regime siriano. E non solo loro: fanno lo stesso i consiglieri iraniani, istruiti dalle perdite già subite nell'attacco israeliano di tre giorni fa alla base T-4.
Tira aria pesante in Siria in queste ore che, a prender sul serio le minacce dell'irascibile presidente americano, sono quelle che precedono la «severa punizione» annunciata per i gasatori di Douma. Gasatori che, ça va sans dire, negano, smentiscono e si indignano: sono stati «gli odiosi caschi bianchi», ha detto in conferenza stampa il generale russo Viktor Pozhnikir riferendosi alla Difesa civile siriana, organizzazione di volontari che opera in zone della Siria controllate dai combattenti dell'opposizione, a «inscenare davanti alle telecamere» un attacco chimico contro i civili che non era certo nell'interesse di Assad o della Russia che lo protegge (sarà, ma il giorno dopo i ribelli di Douma si sono arresi, e un interesse strategico allora c'era).
Tutti si domandano non tanto se, ma quando l'annunciato attacco americano avrà luogo. Per il segretario alla Difesa Usa John Mattis il Pentagono «sta ancora valutando con gli alleati le circostanze dell'attacco a Douma», ma che è già pronto a fornire opzioni per colpire in Siria: secondo indiscrezioni si va da un'operazione mirata contro un solo obiettivo come quella dell'aprile 2017, a una allargata a diverse basi militari del regime, a una più pesante estesa a i centri di comando russi e iraniani.
Secondo media russi ripresi dall'edizione in arabo di Sky News, ieri dalla base Nato di Sigonella in Sicilia sono decollati per missioni di ricognizione tre aerei Poseidon. L'ipotesi di un ruolo italiano nell'attacco divide il mondo politico: il premier Gentiloni nega coinvolgimenti diretti e suggerisce negoziati di pace all'Onu ma ricorda che l'uso di gas è sempre intollerabile, Di Maio ricorda che siamo alleati dell'Occidente e che dobbiamo stimolarlo a cercare la pace, Salvini tuona contro i missili di Trump e contro le sanzioni alla Russia.
C'è infine - apparentemente in secondo piano, ma in realtà in primissimo - la guerra parallela tra Israele e Iran. L'esercito israeliano prende sul serio le minacce di rappresaglia iraniane dopo l'uccisione di sette militari di Teheran nell'attacco alla base siriana T-4 ed è in stato di allerta massimo. Gerusalemme minaccia però apertamente la Repubblica islamica. Fonti ufficiali citate dal quotidiano Maariv avvertono che «il regime di Assad e lo stesso Assad spariranno dalle carte geografiche e dal mondo se gli iraniani proveranno a danneggiare Israele o i suoi interessi dal territorio siriano.
Consigliamo all'Iran di non farlo perchè Israele è deciso di andare fino in fondo nella questione». Putin deve averle lette, perché ha subito telefonato a Netanyahu, raccomandando al premier israeliano di «evitare azioni destabilizzanti».
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