Smontata dalle carte dei pm anche la truffa dello spread

Dopo la risoluzione del caso Ruby, smontato un altro complotto contro Berlusconi. La prova in una mail: a S&P sapevano della caduta del Cavaliere tre mesi prima dei fatti

Smontata dalle carte dei pm anche la truffa dello spread

RomaChi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato. Ma il passato per Silvio Berlusconi è meglio non scordarlo. Almeno il tempo può fare giustizia della defenestrazione del novembre 2011, che più passa il tempo e più sembra essere stata strumentale a un disegno esterno.

Da un lato l'offensiva giudiziaria e mediatica, con il caso Ruby fatto esplodere dalla Procura di Milano a fine 2011 a dare il colpo del ko al premier, dopo le indagini baresi su Gianpaolo Tarantini e le serate con le escort a Palazzo Grazioli. Dall'altro le bastonate della finanza internazionale, tra declassamenti delle agenzie di rating - con decine di apprezzamenti negativi nei confronti dell'Italia nel giro di un anno e poco più - spread impazzito, interessi dei Btp alle stelle e lettere-diktat della Bce. Fino alla resa: il Cavaliere sale al Quirinale e rassegna il mandato nelle mani di Napolitano, che lo gira al premier del rigore Mario Monti.

Ora, all'indomani della definitiva assoluzione sulla vicenda Ruby, che smonta la consistenza del fronte giudiziario contro l'ultimo governo Berlusconi, a Trani si svelano i retroscena dell'altra linea d'attacco, quella finanziaria, col processo a otto tra analisti e manager delle agenzie di rating Fitch e Standard&Poor's. Finiti alla sbarra perché, per la procura pugliese e il gup che a ottobre li ha rinviati a giudizio, tra 2010 e 2012 avrebbero fornito ai mercati finanziari informazioni distorte, tendenziose e - in ultima istanza - false, sull'affidabilità dell'Italia come creditore. Lo scopo, per i pm tranesi, era «una destabilizzazione dell'immagine, prestigio e affidamento creditizi dell'Italia sui mercati finanziari nazionali ed internazionali», oltre che deprezzare i titoli di Stato. Va da sé che le conseguenze politiche di queste azioni erano prevedibili. Non a caso il pm tranese Michele Ruggiero tra le «pistole fumanti» del teorema accusatorio ha un'e-mail interna di S&P del 3 agosto 2011, nella quale si discute della successione di un governo tecnico all'esecutivo Berlusconi, che come detto avrebbe rassegnato le dimissioni solo tre mesi dopo. Ma «Frank» della S&P (probabilmente Frank Gill, tra gli analisti rinviati a giudizio) quell'estate - due giorni prima della famigerata lettera della Bce nella quale Trichet e Draghi dettavano drastiche misure all'Italia - già consigliava a un collega di «prendere tempo» poiché «c'è la possibilità che si instauri un governo tecnico perché Berlusconi è sotto pressione», prevedendo che «Berlusconi andrà da Napolitano per parlare».

Quando a fine 2011 Trani inizia a indagare sulle «manipolazioni» delle agenzie di rating, rivelando tra l'altro che S&P aveva divulgato la «bocciatura» della manovra finanziaria presentata da Tremonti al Cdm mentre «il testo della stessa non era ancora ufficiale e definitivo, così determinando ulteriori turbolenze sul mercato dei titoli e sulle aste dei titoli di Stato», i giornali italiani, con poche eccezioni, non sembrano appassionarsi alla vicenda. E anche ora che c'è un processo non mancano le anomalie.

L'Italia ha subito danni rilevanti per le azioni delle agenzie di rating contestate dalla magistratura. Su tutti, per i pm, i 2,5 miliardi di euro che Monti a gennaio 2012 pagò senza fiatare a Morgan Stanley dopo il declassamento dell'Italia da parte di S&P. Soldi dovuti in virtù di una clausola di un contratto derivato sottoscritto dal governo italiano - quando premier era Ciampi - con la banca americana, e onorata nonostante S&P - che conta tra i suoi azionisti Morgan Stanley - fosse già sotto inchiesta.

Eppure né la presidenza del Consiglio né il Mef si sono costituiti parte civile nel processo tranese.

Una scelta definita «sorprendente» dallo stesso pm Ruggiero, che - intervistato da Libero qualche giorno fa - non si sbilancia sul «complotto» («Ho le mie idee sul punto ma non posso esprimerle»), ma non ha dubbi sull'influenza politica di quelle azioni: «Non hanno favorito l'Italia, e ovviamente ha pagato in particolar modo chi stava in quel momento al governo».

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