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Il sogno di Gentiloni: "Un Patto pro crescita". L'Europa ha già detto no

Al via la riforma della governance nella Ue. Sì a investimenti «verdi», ma niente sconti

Il sogno di Gentiloni: "Un Patto pro crescita". L'Europa ha già detto no

È una situazione già vista. Talmente conosciuta da sembrare una gioco delle parti: l'Italia che annuncia la svolta anti-austerity, Bruxelles che segue a ruota smentendo e poi va per la sua strada. Strada che, almeno da cinque anni a questa parte, è quella tracciata dai paesi «rigoristi».

Ieri è stata la volta della riforma delle regole che vincolano le finanze pubbliche degli Stati membri. Il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni ha inaugurato il percorso di revisione del Patto di Stabilità, che inizia con una consultazione degli Stati membri e terminerà entro l'anno con una proposta.

Nel farlo ha messo l'accento sulla necessità di dare la possibilità ai Paesi indebitati di finanziare politiche «anticicliche», quindi spesa pubblica pro crescita. Poi «abbiamo bisogno di investimenti pubblici in tutti gli Stati membri».

Il riferimento è soprattutto agli investimenti pubblici «verdi». Il Green deal europeo è uno dei pilastri del mandato di Ursula von der Leyen. Sono previsti investimenti complessivi per mille miliardi di euro in dieci anni per la riconversione dell'economia. Una parte, 7,5 miliardi in tutta l'Unione, dovrebbero partire già il prossimo anno.

Il problema è come verranno conteggiati questi investimenti. C'è una scuola di pensiero (compreso l'European Fiscal Board, il gruppo di esperti indipendenti ai quali la Commissione ha dato l'incarico di elaborare una proposta) che vorrebbe attuare la cosiddetta golden rule, cioè l'esclusione degli investimenti dal deficit considerato dall'Ue.

Interpretazione che, facile immaginarlo, sarebbe la migliore per l'Italia alle prese il prossimo anno con una manovra particolarmente difficile.

Gentiloni ha rafforzato questa posizione precisando che la Commissione europea non intende precludere gli investimenti pubblici ai Paesi con debito molto elevato come l'Italia. Paesi che «devono tenere sotto controllo il debito pubblico». Ma «non possiamo immaginare una situazione nella quale gli investimenti, la transizione ambientale, i cambi della nostra società portati dal digitale, le sfide del lavoro possano essere preclusi a Paesi che hanno un debito elevato».

Peccato che gli orientamenti prevalenti a Bruxelles (già abbastanza chiari nonostante il percorso della riforma sia appena iniziato) vadano in direzione opposta. Intanto nessuna golden rule. Semmai una riedizione della vecchia flessibilità, con diversi criteri su quanto spazio concedere e a quali condizioni.

La pressione degli Stati rigoristi, in maggioranza nell'attuale Commissione e anche nel Consiglio, fa pensare che se sarà concessa la possibilità di investire ai Paesi con alto debito come l'Italia, sarà a caro prezzo.

La stessa presidente della Commissione si è espressa contro la golden rule, ha ricordato ieri il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis. Il tema comunque, farà parte della discussione che si avvia ora con gli Stati membri. Ma fino alla proposta, «varranno le regole attuali». Tradotto, nessuno ha voglia nel medio termine di concedere spesa extra, nemmeno per investimenti «verdi».

Il piano per gli investimenti «verdi» europei (European green deal) prevede una fase di passaggio. L'Italia, a fronte di un contributo da 900 milioni, dovrebbe ricevere 364 milioni, che potranno diventare 2 miliardi con i cofinanziamenti nazionali. L'Italia ha stanziato 4,2 miliardi dal 2020 fino al 2023.

Per Bruxelles sarà spesa pubblica.

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