Si può essere bambini anche a ventisei anni se si è gravemente disabili o svantaggiati. Ecco spiegate le parole del ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, giovedì 6 giugno scorso al Tg5: «Il governo lavora a un assegno unico che va dai cento ai trecento euro al mese per ogni bambino dai zero fino ai ventisei anni: credo che in questo modo riusciremo a contrastare il calo demografico». Sono bastate queste dichiarazioni per far infuriare i 5stelle o almeno il viceministro all'Economia, Laura Castelli. «Considerata una platea di 15 milioni di residenti, l'assegno unico avrebbe un costo che oscilla tra i 18 e i 54 miliardi di euro di euro» si è inalberata la Castelli, che non apprezza la proposta del ministro leghista, nonostante l'assegno unico faccia parte di una mozione per la famiglia votata congiuntamente alla Camera da Lega e 5Stelle l'11 giugno scorso in cui si prevede un «unico beneficio di natura monetaria destinato alle famiglie con prole, parametrato al numero, alla condizione e all'età dei figli e graduato in base alla sua effettiva situazione economica, destinato al sostegno delle spese per la crescita, il mantenimento e l'educazione dei figli».
A richiamare all'ordine i grillini è stato il vicepremier Luigi Di Maio, in un'intervista sul Corriere della sera. Probabilmente temendo di perdere il favore di cattolici e famiglie numerose, visto che in campagna elettorale aveva anche promesso un miliardo di euro alle famiglie (poi inghiottito dalle correzioni di bilancio), ha ingranato la retromarcia, sia pur ricordando agli alleati leghisti la necessità di far quadrare i conti: «È una proposta importante, e appena la presenteranno anche a noi non avremo difficoltà a sostenerla, mi auguro la porti in legge di Bilancio. Litigi sulla famiglia no, mai. Si va uniti». L'assegno, comunque, dovrà attendere.
Non si tratta di soldi per bamboccioni, fanno sapere dal ministero della Famiglia, anche se l'idea di considerare bambini persone di ventisei anni di primo acchito può impressionare. In realtà, l'assegno ai ventiseienni si applicherebbe in casi molto particolari, per figli conviventi con gravi disabilità o disagi. La questione non è solo essere solidali verso chi ha figli, sostiene Fontana, ma dare il via a una politica demografica che inverta la rotta economica italiana.
I dati Istat 2019 non sono incoraggianti: il numero medio di figli per donna nel 2018, anche se invariato, è ben al di sotto della soglia di sostituzione: 1,32. L'età media al parto continua a crescere, toccando per la prima volta la soglia dei 32 anni. Nel 2018 si conteggiano 449mila nascite, 9mila in meno rispetto al precedente minimo registrato nel 2017 e il saldo naturale è negativo (-187mila). Ecco perché «tenteremo anche a livello Ue di far capire alla Commissione europea che gli incentivi alla natalità devono essere considerati come un investimento e vanno svincolati dai vincoli di bilancio» dice Fontana.
La Lega si ispira al Patto per la natalità, che ha tra i suoi autori il demografo dell'Università di Milano Bicocca Giancarlo Blangiardo (oltre che Alessandro Rosina della Cattolica e il Forum delle associazioni familiari) e che ritiene la natalità sotto zero e l'invecchiamento del Paese uno dei principali motivi della crisi economica e della maggior fatica dell'Italia a risollevarsi.
Con una popolazione in costante diminuzione, mantenere il Pil, affrontare la crescente spesa sanitaria e pensionistica e sostenere i costi di una popolazione sempre più anziana, diventa impresa ai limiti dell'impossibile.Da qui la richiesta del ministro all'Ue di «escludere dai vincoli di bilancio» l'assegno unico. Anche per questo Salvini pensa a Fontana come ministro per gli Affari europei.
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