Soldi alle mense ecologiche, non all'industria

Il ministero dell'Agricolutra stanzia 30 milioni per la «certificazione bio» del cibo nelle scuole

Soldi alle mense ecologiche, non all'industria

Roma L'ultimo «segnale di vita» è stato inviato martedì scorso. Sulla Gazzetta uffici0ale è stato pubblicato il decreto del ministero delle Politiche agricole che definisce i criteri di ripartizione tra le Regioni del Fondo per le mense scolastiche biologiche. Si tratta di un provvedimento che attua le previsioni della «manovrina» dell'anno scorso che aveva stanziato 4 milioni di euro per il 2017 e 30 milioni per il triennio 2018-2020 per le scuole che adottano mense con certificazione biologica.

La parola «certificazione» fa già comprendere come per ottenere il riconoscimento serva adeguarsi a precise norme utilizzando materie prime di origine biologica (farina, uova, succhi di frutta, ecc.). Burocrazia anche nel miglioramento di un servizio pubblico tra «marchi oro» e «marchi argento» a secondo della percentuale di bio impiegata, ma tant'è. Il vero problema è che in questi circa due mesi di stallo parlamentare s'è fermata anche l'attività dei singoli dicasteri del governo Gentiloni e il decreto sulle mense biologiche è una delle poche mosse effettuate. Questo stop potrebbe creare ripercussioni negative sulla vita quotidiana dei cittadini e delle imprese, giacché la politica e la sua produzione legislativa occupa uno spazio molto ampio nelle nostre esistenze.

Ad esempio, nulla si sa dei 60 milioni di euro stanziati dalla legge di Bilancio per la riduzione del superticket. Sono una goccia nel mare e sarebbero serviti per sperimentare sulle fasce di reddito più basse l'abolizione dei ticket sulla diagnostica e sulla specialistica. Ma nulla s'è fatto e quelle tasse continuano a essere pagate da tutti. Idem per il «Jobs Act degli autonomi», la legge che introduceva e ampliava le garanzie, come maternità e assistenza sanitaria, per le professioni free-lance. I quattro decreti legislativi sono tutti bloccati. S'è fermato pure il bonus da 250 milioni per la «formazione 4.0» nelle imprese istituito dalla legge di Bilancio 2018. Il meccanismo era un po' bizantino in quanto prevedeva che aziende e sindacati si mettessero d'accordo sulle modalità e sull'oggetto dell'aggiornamento professionale dei dipendenti, ma ciò non toglie che si potesse avviare la sperimentazione.

Potrebbe legittimamente sorgere il sospetto che lo stallo sia legato al carattere elettorale di queste norme e che, una volta sconfitto il Pd nelle urne, sia anche venuta meno la volontà di adempiere alle promesse. Palazzo Chigi e Via XX Settembre si sono tuttavia arenati anche su norme di fondamentale importanza. Domani scade il termine per varare il decreto che taglia del 35% le slot e i videoterminali senza penalizzare troppo il gettito. Evidentemente quelle entrate sono irrinunciabili e la Ragioneria. Al tempo stesso, si trova all'Anac il decreto che istituisce il fondo per i rimborsi dei crac delle Popolari (25 milioni all'anno per quattro anni), rimasto al palo.

Occorre dire che talvolta

l'inerzia giova ai contribuenti. È rimasto lettera morta il decreto che istituiva la web tax sui colossi di Internet come Facebook, Google e Amazon. Si aspetta l'Ue e comunque il Fondo monetario ha bocciato il progetto italiano.

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